In primo luogo, una precisazione: nonostante la revisione del “paniere” (per renderlo maggiormente in linea con le spese delle famiglie a reddito medio basso , i dati sottostimano il fenomeno quale percepito dai nuclei e risultante dai cambiamenti nella suddivisione dei loro consumi nel 2006-2007. Negli ultimi 12 mesi, a livello mondiale, l’indice dei prezzi degli alimentari è cresciuto quasi del 50%; in due anni, è quasi raddoppiato. Ciò ha comportato un ri-orientamento della spesa verso il cibo; per questo la stagione dei “saldi” dell’abbigliamento è stata triste e “tengono”, in termini di pubblico, principalmente gli spettacoli altamente sovvenzionati e, dunque, con biglietti a basso prezzo Questo quadro è molto più inquietante del dato aggregato in base al quale in gennaio l’andamento dei prezzi al consumo ha sfiorato il 3% l’anno, il tasso più alto dal 2001, superiore (ben del 50%) del limite oltre in quale, secondo gli statuti della Bce, occorre mettere in atto restrizioni monetarie. In sintesi, i tenori di vita stanno regredendo perché la riduzione della spesa per gli alimentari (e il corrispondente aumento di quella per altre poste- abbigliamento, casa, istruzione, vacanze, salute) è dai tempi di Simon Kutznets – ossia dagli Anni 50 – la caratteristica che accompagna il miglioramento dei loro standard.
Sarebbe ingeneroso imputarne la responsabilità principalmente al Governo Prodi (in carica nel periodo dell’impoverimento degli italiani); la determinante principale è internazionale – l’aumento dei consumi alimentari di circa un miliardo di persone precedentemente alla mera sussistenza. Il Governo Prodi, però, non sembra averne compreso la portata: ha eretto come barriera un Mr. Prezzi che, come indicato su ItaliaOggi a metà dicembre, minaccia di creare più danni che vantaggi o, nella ipotesi migliore, avere l’effetto della melatonina.
Cosa potrà fare il Governo che risulterà dal voto? Ad una spinta inflativa determinata, in gran misura, dall’aumento della domanda internazionale la risposta più promettente consiste in una politica per rilanciare l’offerta e ridurre i costi di distribuzione. Ciò non vuol dire rinunciare a comprare da chi vende a prezzi più bassi e stanare chi specula sulla situazione- come predica, più o meno inutilmente, il buon Mr.Prezzi. Ciò comporta porre l’enfasi sull’apertura dei mercati e la concorrenza. Ciò vuole dire indurre gli enti locali a modificare regolamentazioni (di loro competenza) che restringono il mercato. Ciò vuole anche dire pilotare ciò che resta della concertazione verso questo obiettivo.
Al Governo centrale, dunque, resta solo “moral suasion” (“persuasione morale”) su enti locali e parti sociali? No, ha un compito chiave suo proprio: ridurre tasse, imposte e regole che frenano offerta ed aumentano costi.
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