venerdì 15 febbraio 2008

LA VELTRONIECONOMICS FA LO SGAMBETTO AI SINDACATI

La Veltroeconomics ne ha fatta un’altra ancora: uno sgambetto a quelle tre sigle sindacali confederali che pur dovrebbero essere i suoi grandi elettori. Altri, più malignamente, dicono che si tratta di vero e proprio un colpo di stivale là non batte il sole della Triplice e dei suoi leader. Nel loft non si discute più se lo sgarbo (o lo sgarro) ci sia stato , ma se sia stato intenzionale o preterintenzionale. Nel primo caso, sapendo di perdere, il leader del PD vuole fare terra bruciata nei confronti di “Mimì metallurgico” e dei suoi discendenti per presentarsi , craxianamente, come espressione dei ceti emergenti. Nel secondo, si tratterebbe solamente di un’ulteriore indicazione della sua modesta dimestichezza con l’economia (croce più che delizia del dolce e paziente Marco Causi, da 12 anni suo precettore nei labirinti della disciplina); Goffredo Bettini starebbe già facendo il pontiere con le centrali della Triplice. Lo si è visto a Corso d’Italia, Via Po e Via Lucullo- Probabilmente non in una “promenade de santé”.
Veniamo ai fatti nudi e crudi. Nel salotto di Bruno Vespa, il candidato del PD a Palazzo Chigi ha annunciato che punto fondante del suo programma legislativo è una normativa per definire i minimi salariali ed ha pure indicato quale dovrebbe essere il valore monetario mensile di tali minimi. Non sta a noi discettare se tale normativa sia appropriata o meno. In materia c’è un dibattito intenso da lustri tra economisti del lavoro e tra giuslavoristi. Non possiamo certo pensare che Veltroni abbia dimestichezza con la critica serrata formulata da uno dei maggiori studiosi svedesi, Assar Lindbeck, Premio Nobel per l’Economia, da sempre considerato contiguo alla sinistra e insignito dell’importante onorificenza proprio perché ha dimostrato come il “minimum wage” danneggia individui e famiglie negli scalini più bassi dei redditi e dei consumi. Veltroni è un politico in tante cose affaccendato; quindi, non ha probabilmente mai letto neanche una sintesi del libro fondamentale di Edmud Phelps (altro beniamino della sinistra) sulle implicazioni macro-economiche negative (per le politiche di crescita) di un “salario minimo”.
Da politico, che indossa abiti di taglio americano, avrebbe dovuto seguire, però, il recente dibattito sul tema al Congresso Usa; quanto meno si sarebbe dovuto fare fornire un sunto dei lavori dello Institute for Policy Studies di Washington D.C, il pensatoio per eccellenza del movimento sindacale collaterale alla sinistra americana (negli Usa ci sono anche sindacati molto vicini alla destra). Ove l’America fosse troppo distinta e distante , sarebbe stato utile, prima di esporsi su questo tema, che prendesse visione della ricca, e freschissima, letteratura disponibile sul sito dell’Istituto tedesco di studi del lavoro (www.iza.org) ; gran parte della documentazione è in lingua inglese e – come Veltroni certamente sa (si spera, ne abbiano contezza i suoi consiglieri) – nella Repubblica Federale ci sono state negli ultimi mesi discussioni molto accese sull’argomento. Il maggior sindacato tedesco, la Deutscher Gewerkschaftsbund, DGB, è stato seriamente diviso, al proprio interno, su che posizione prendere in materia. Il potentissimo IG Metall si è espresso contro la misura.
Le ragioni dell’opposizione sindacale al salario minimo riflettono soltanto in parte le determinanti economiche documentate da Assar Lindbeck e Edmund Phelps. Hanno a che fare con la “politics” (l’analisi politica) oltre che con l’”econonomics” (l’analisi economica) del salario minimo normato: come documentato da lustri di studi comprati dell’Ocse e dell’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro- agenzia delle Nazioni Unite nei cui organi di governo e di gestione sono rappresentati i sindacati) , i Paesi in cui esiste il “minumun wage” la contrattazione collettiva nazionale non riguarda minimi salariali (punto centrale del sindacalismo dell’Europa continentale , e fiore all’occhiello, ad esempio, della IG Metall) ma altri aspetti (dalle consultazioni in fabbrica, alle vacanze, a soprattutto i salari aziendali).
La proposta di Veltroni, dunque, spezza una delle spade a cui il sindacalismo italiano è più affezionato. I leader sindacali italiani sanno leggere e scrivere (anche in lingue straniere). Non vogliono essere mandati in pensione da un “ex”. Consigliano, quindi, di guardare con attenzione all’Arcobaleno.

Nessun commento: