In un’Italia in campagna elettorale, pochi politici dei due schieramenti (anche tra i candidati, e gli auto-candidati, alla guida dei dicasteri economici) hanno preso il cannocchiale per seguire il G7 dei Ministri economici e finanziari che si svolge a Tokyo oggi 9 febbraio. I suoi esiti, e quelli dei lavori dell’International Stability Forum (Isf) che si concluderanno, sempre a Tokyo, in aprile (quando l’Italià sarà alle prese con gli esiti del voto) possono avere un impatto sull’agenda dei lavori del prossimo Governo e della XVI legislatura. Mentre l’attenzione dei media è puntata sulla cena di oggi a Tokyo, quando al tavolo del G7 si aggiungeranno i rappresentanti Corea del Sud, Cina, Indonesia e Russia, e sulle anticipazioni relative ai toni ottimisti del comunicato ufficiale (peraltro già scritto ed approvato da alcuni giorni), il punto centrale riguarda la regolazione e la vigilanza finanziaria internazionale: man mano che si hanno maggiori notizie sul pasticciaccio brutto della Société Générale (e non solo) aumenta la preoccupazione di Ministri, di sherpas e di barracuda-esperti.
Libero Mercato del 2 febbraio ha sottolineato che è in corso una “guerra fredda” tra tendenze dirigiste e liberiste in questo campo. Quale che sia il risultato del confronto tra le due tendenze, ci sono implicazioni di peso per l’Italia. Un riassetto della regolazione e della vigilanza in materia finanziaria era uno dei punti centrali delle proposte di riforma delle authority tentate nella XIV e XV legislatura. Il disegno di legge varato un anno fa prevedeva la soppressione di Isvap e Covip ed una razionalizzazione delle funzioni delle altre autorità di tutela (Bankitalia, Antitrust, Consob); il ddl è rimesto sepolto da particolarismi e vedi incrociati in Senato. Un saggio di Leonardo Giani e Riccardo Vannini (ambedue dell’Università di Siena), in corso di pubblicazione su “Studi e Note di Economia”, traccia un interessante parallelo sul “percorso evolutivo” di regolazione e vigilanza bancaria negli Usa ed in Italia. In tal senso la razionalizzazione prevista nel ddl ormai decaduto deve essere letta come un passo verso una unica autorità di garanzia e regolazione secondo il modello già adottato da numerosi Paesi Ue . Indubbiamente, il mercato assicurativo ha specificità da salvaguardare nell’ambito di un’autorità unica; più complessa la situazione della Covip a cui viene addebitata (a torto od a ragione) una frammentazione della previdenza complementare (in oltre 700 mini-fondi pensione) tale da intimorire potenziali investitori.
A ragione dell’inazione da parte dell’Esecutivo (comunque ora in carica solo per gli affari correnti) , e del Parlamento ormai sciolto , il G7 (ossia l’insieme del mondo industriale) potrà indurci a stralciare la parte della riforma delle authority relativa alla regolazione ed alla vigilanza dei mercati finanziari ed a proporla tra le misure prioritarie da affrontare e risolvere nella prossima legislatura. Non è tema che riguarda pochi esperti, gli operatori di mercati finanziari, le banche ed i gestori di fondi comuni e di private equity. Nonché i soliti barracuda esperti. Ma tutti gli italiani.
Pure le ipotesi meno vincolistiche, tra quelle sul tappeto, contemplano una più stretta collaborazione sia tra authority nazionali per la regolazione e la vigilanza dei mercati finanziari in senso lato (inclusi quelli assicurativi e previdenziali) sia tra queste ultime e le istituzioni europee (quali la Commissione e la Bce) ed internazionali (Fmi, Comitati Ocse, eventuali istituzionalizzazione dell’Isf).
E’ in questo contesto che l’assetto italiano (segmentato tra varie authority e commissioni di vigilanza) non soltanto appare anomalo rispetto a quello della maggioranza dei Paesi Ocse (ed oltre la metà di quelli Ue) ma comporta difficoltà di coordinamento al proprio interno e rispetto al resto del mondo; lo si ricava, tra l’altro, da un documento del Fondo monetario di pochi mesi fa (IMF Working Paper No. 07/227). E’ bene che gli schieramenti politici dicano chiaramente come intendono affrontarlo. Prima che la soluzione ci venga imposta da fuori. Sempre che non si preferisca un modello imposto dall’esterno rispetto ad uno sviluppato dall’Italia tenendo conto delle esigenze internazionali.
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