giovedì 28 febbraio 2008

La tempesta internazionale ha già travolto l'economia italiana ma il Pd non se ne è accorto da L'Occidentale del 28 febbraio

La tempesta internazionale in corso in questi giorni (ulteriore ribasso del valore internazionale del dollaro, aumenti delle quotazioni del petrolio e di altre materie prime, nonché delle derrate) avrà effetti sull’economia italiana e sulle politiche economiche con le quali i maggiori schieramenti propongono di affrontarne i nodi? La risposta non può che essere positiva.
In primo luogo, se gli economisti che collaborano con Walter Veltroni si mettessero ai loro computer e farebbero girare i loro modelli econometrici, si accorgerebbero che le implicazioni più pesanti sono quelle sulla piattaforma programmatica del Partito Democratico.
Una chiosa tecnica: la modellistica macro-economica in uso presso il PD si basa in gran misura sul lavoro pionieristico fatto circa mezzo secolo fa da Lawrence Klein – è, quindi, di impianto neo-keynesiano e la sua più importante variabile esogena è il commercio internazionale. In parole povere, e semplificando al massimo, quanto più cresce il resto del mondo e l’intercambio tanto più cresce la domanda per beni e servizi prodotti dall’Italia (sempre che si sia in grado di essere competitivi) e, con essa la produzione, l’occupazione, la massa salariale ed i consumi interni.
Alcune settimane fa, quando si disponeva solamente del “dodecalogo”, abbiamo sottolineato come a maggio-giugno i conti pubblici avrebbero evidenziato una falla di 8-12 miliardi di euro dato che la crescita del pil nel 2008 era allora stimabile allo 0,7% (invece dell’1,5% ipotizzato dalla triade Prodi-Padoa-Visco quando hanno messo a punto la manovra di bilancio per l’esercizio finanziario in corso.
Su L’Occidentale del 27 febbraio è stato messo in rilievo, non più sulla base del “dodecalogo” ma del programma appena presentato alla stampa e all’elettorato, che l’applicazione integrale delle misure proposte comporta (oltre ad una manovra di metà esercizio finanziario nel 2008) maggiori spese pubbliche e riduzioni di entrate valutabili, in prima approssimazione, in 40-60 miliardi di euro nel triennio 2009-2011.
Il rallentamento dell’economia internazionale rischia di comportare una crescita davvero rasoterra per l’Italia nel 2008 e nel 2009 (l’orizzonte temporale dei modelli econometrici a cui è fatto riferimento è di norma 24 mesi). Ciò dovrebbe comportare un drastico ridimensionamento del programma elettorale del PD tanto in materia di spese pubbliche (concessione all’area sindacale ed ai settori maggiormente intervestiti del partito) quanto in materia di riduzione di tasse ed imposta (promessa invece all’ala liberale, nonché tesa alla conquista del centro).
In secondo luogo, è prematuro esaminare le implicazioni sul programma del PdL poiché non ancora presentato. Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni, tuttavia, sarebbe quanto mai opportuno tenere conto di un quadro internazionale che è notevolmente cambiato non solamente in termini di crescita ma anche e soprattutto di andamento dei prezzi e, dunque, di potere d’acquisto di individui e famiglie.
Anche se i mercati obbligazionari ed altri indicatori sembrano dire che si sta tornando ad una situazione analoga a quella degli Anni 70 (inflazione elevata e bassa crescita dell’economia reale), le determinanti sono profondamente differenti da quelle di allora: non siamo tanto alle prese con brusche variazioni delle ragioni di scambio e con il riassetto interno delle remunerazioni del lavoro e del capitale (come negli Anni 70) quanto con un mutamento strutturale dell’economia mondiale.
Ciò comporta – lo dice a tutto tondo l’ultimo rapporto Fao – la fine dei bassi costi delle derrate alimentari (dal 1850 al 1970 l’indice delle loro quotazione è aumentato appena del 50% per poi prendere un impennata che lo ha portato nel 2005 a superare di dieci volte il livello del 1850 ed all’ultima rilevazione di ben quindici volte). Questa determinante è più importante degli aumenti dei corsi del petrolio (cresciuti del 50% nel solo 2007). In tema di energia, c’è una gamma di alternative tecnologiche molto più ampia di quella in tema di produzione di cibo, la cui domanda è in rapida crescita poiché centinaia di milioni di persone stanno uscendo dalla miseria: mediamente un cinese mangiava 20 chili di carne l’anno nel 1985, oggi ne mangia 44 (e ci vogliono 8 chili di grano per produrne uno di carne).
Il Pdl dovrebbe sottolineare che non sono certo le politiche di bilancio e della moneta dei singoli Paesi Ocse (anche ove concertate) a potere incidere su questo fenomeno. Ancor meno possono fare eventuali politiche dei redditi nazionali o conati di quelle “europee”; lasciamo stare la politica dei redditi “mondiale” (di cui si conciò ai tempi di quel primo Governo Prodi in cui si finanziavano convegni sull’Ulivo mondiale e si progettava anche “mani pulite nel mondo”). Appartiene ad Alice nel Paese delle Meraviglie.
“Mr. Prezzi”, creato dal centrosinistra, è una via di mezzo tra politica dei redditi in surroga ed uno spaventapasseri con la funzione di essere quello con cui prendersela. Se si tenterà di introdurre controlli, potrà aggravare la situazione (con distorsioni dell’allocazione delle risorse), come provano tutte le esperienze del passato (soprattutto quella degli Usa nel 1971-73).
C’è una strategia alternativa: liberalizzare mercati (specialmente nei servizi) e ridurre regole (a quando i risultati dei tanti annunciati studi sull’impatto della regolazione?). Dovrebbe essere l’architrave del programma PdL. I mercati obbligazionari ed altri indicatori sembrano dire che si sta tornando ad una situazione analoga a quella degli Anni 70: inflazione elevata e bassa crescita dell’economia reale.
Le determinanti sono, però, profondamente differenti da quelle di allora: non siamo alle prese con brusche variazioni delle ragioni di scambio e con il riassetto interno delle remunerazioni del lavoro e del capitale (come negli Anni 70) ma con un mutamento strutturale dell’economia mondiale. Ciò comporta – lo dice a tutto tondo l’ultimo rapporto Fao – la fine dei bassi costi delle derrate alimentari (dal 1850 al 1970 l’indice delle loro quotazione è aumentato appena del 50% per poi prendere un impennata che lo ha portato nel 2005 a superare di dieci volte il livello del 1850 ed all’ultima rilevazione di ben quindici volte).
Questa determinante è più importante degli aumenti dei corsi del petrolio (cresciuti del 50% nel solo 2007). In tema di energia, c’è una gamma di alternative tecnologiche molto più ampia di quella in tema di produzione di cibo, la cui domanda è in rapida crescita poiché centinaia di milioni di persone stanno uscendo dalla miseria: mediamente un cinese mangiava 20 chili di carne l’anno nel 1985, oggi ne mangia 44 (e ci vogliono 8 chili di grano per produrne uno di carne).
Non sono certo le politiche di bilancio e della moneta dei singoli Paesi Ocse (anche ove concertate) a potere incidere su questo fenomeno. Ancor meno possono fare eventuali politiche dei redditi nazionali o conati di quelle “europee”; lasciamo la politica dei redditi “mondiale” (di cui alcuni concionano) ad Alice nel Paese delle Meraviglie. “Mr. Prezzi” è una politica dei redditi in surroga. Chi ne vestirà i panni sarà un malcapitato che avrà le funzioni di essere quello con cui prendersela. Se tenterà di introdurre controlli, potrà aggravare la situazione (con distorsioni dell’allocazione delle risorse), come provano tutte le esperienze del passato (soprattutto quella degli Usa nel 1971-73).
C’è una strategia alternativa: liberalizzare mercati (specialmente nei servizi) e ridurre regole (a quando i risultati dei tanti annunciati studi sull’impatto della regolazione?).

Nessun commento: