La decisione del Tar di non concedere la sospensiva a APHolding permette, per ilil momento, la prosecuzione della trattativa tra Alitalia, da un lato, e AirFrance-Klm, dall’altro. Ciò non vuole dire né che l’accordo sia dietro l’angolo né che, nonostante lo zucchero messo all’ultimo momento dal Governo Prodi nel decreto mille proroghe, si sia risolto il nodo del grande aeroscalo nei pressi di Varese. Anzi, chiunque vincerà le prossime elezioni troverà, tra i tanti fascicoli problematici sulla sua scrivania, quello relativo al rebus di Malpensa , ossia cosa fare con una grande infrastruttura se – come pare probabile- viene a mancare l’attività economica (il traffico aereo) che è destinata a servire. E’ un’infrastruttura a destinazione irreversibile: un aeroporto costruito per essere un “hub” non può essere facilmente trasformato in un impianto industriale od in un centro commerciale. Il rebus è particolarmente difficile se va al Governo il PdL. La Lega Nord e buona parte dello schieramento settentrionale del PdL si è ripetutamente espresso a favore del mantenimento di un ruolo strategico per Malpensa. D’altro canto, in tempi non sospetti (con l’articolo “Malpensa: limiti e misfatti” su www.lavoce.info) due consiglieri economici del leader del Pd Walter Veltroni hanno già dato per scontato una ridimensionamento dell’infrastruttura nell’ipotesi in cui il regime di open skies non si allarghi rapidamente dai voli transatlantici (per i quali i cieli si apriranno a fine marzo) a quelli verso l'Asia e verso l'Africa.
Con il senno del poi, è facile dire che l’aeroporto e l’insieme degli scali nel Nord Italia non sono stati programmati con la cura e con le analisi economiche e finanziarie auspicabili per investimenti di tali portata: è sufficiente raffrontare la poca consistenza degli studi di fattibilità per Malpensa (peraltro mai divulgati ma che ho avuto modo di sfogliare quando dirigevo il nucleo di valutazione degli investimenti pubblici presso il Ministero del Bilancio) con lo spessore della analisi condotte, più o meno nello stesso periodo, per il terzo aeroporto di Londra (di cui chiunque poteva acquistare copia, per poche sterline, allo H.M. Stationery Office – l’equivalente del nostro Poligrafico dello Stato).
Tuttavia, l’infrastruttura ormai esiste, si stanno prendendo misure per migliorarne il funzionamento (ad esempio, tempo di attesa per i bagagli) e per accorciare la durata dei collegamento con Milano. Non è interesse di nessuno trattarla, contabilmente, come un “sunk cost” (costo da accantonarsi poiché “chi ha dato, ha dato; chi ha avuto, ha avuto”, come dice una canzone napoletana).
Se, come probabile, verrà definito un periodo di transizione prima che gran parte degli “slots” ora in carico ad Alitalia venga abbandonato, tale lasso di tempo deve essere utilizzato non solo per individuare nuovi vettori, probabilmente asiatici (e negoziare con loro l’utilizzazione dell’infrastruttura) ma anche per condurre una nuova analisi economica sia di Malpensa sia degli altri aeroporti dell’area. Non si tratta solo di aggiornare i dati (anche per tenere conto delle profonde modifiche intervenute nel traffico aereo da quando venne progettato l’”hub”) ma di trarre vantaggio dal progresso effettuato nelle metodologie economiche. Un esempio eloquente è la riorganizzazione degli aeroporti del Nord Europa effettuata negli anni scorsi sulla base di uno studio pionieristico condotto dall’Università di Rotterdam ed i cui esiti principali sono stati pubblicati sul periodico “Financial Management” (Han T.J. Smit “Infrastructure Investment as a Real Options Game: the case of European Airport Exapansion”). Una lezione importante è che utilizzando la strumentazione derivante dalla teoria delle opzioni reali e dalla teoria dei giochi si giunge a quantizzare aspetti non facilmente apparenti in un’analisi costi benefici tradizionale, quale il valore della “opzione di flessibilità” in caso di congestione del traffico negli altri scali. Soprattutto, nell’analisi degli aeroporti nel Nord Europa, la valutazione economica ha permesso di vedere come quelli meno vincolati da regolazioni pubbliche sulla loro crescita e da trattamenti preferenziali per quelle un tempo chiamate “compagnie di bandiera” sono quelli che meglio riescono ad esercitare le opzioni di crescita disponibili nel settore.
In Italia non si dispone di tutte le informazioni necessarie per condurre uno studio identico a quello dell’Università di Rotterdam. Manca un dato tecnico: nel 1996, con il primo Governo Prodi, l’Istat ha smesso di aggiornare la matrice di contabilità sociale del Paese (una rappresentazione analitica che consente di simulare impatti di strategie alternative). Si può, ciò nonostante, fare qualcosa di analogo come mostrano, ad esempio, alcuni lavori condotti durante la XIV Legislatura: l’analisi con opzione reali della transizione da televisione analogica e digitale terrestre (le cui conclusioni sono state recepite dal Governo dell’epoca ed i cui punti salienti sono riassunti nel volume Bezzi et altri “Valutazione in Azione”, F.Angeli) e quella del sistema di trasporti della Basilicata (disponibile presso il Ministero dello Sviluppo Economico).
Abbiamo quindi gli strumenti di base per risolvere il rebus di Malpensa. Non strappiamoci i capelli e non facciamoci prendere dalla disperazione.
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