Chi ricorda David Stockman? Il suo nome è tornato nel 2007 nelle cronache Usa in seguito ad una vicenda giudiziaria relativa ad un fondo di private equity. Nel 1985 aveva dato un lungo addio alla politica ed a Washington D.C. . Non è tornato nella piccola Fort Hood del nativo Texas né nel Michigan dove ha studiato né a Harvard dove ha iniziato una carriera accademica alla Facoltà di Teologia. A 39 anni, calato il sipario della vita pubblica, è stato prima a Salomon Brother, poi al Gruppo Blackstone , infine, allo Heartland Infustrial Partner – il fondo che alla soglia dei 60 anni lo ha messo nei guai.
L’ultimo quarto di secolo della sua carriera interessano poco. E’ importante ricordare il ruolo svolto nel 1981-85, nella veste di Direttore del Bilancio del Governo Reagan per rimettere in sesto l’economia americana e risvegliarla dal torpore della seconda metà degli Anni 70. Ronald Reagan aveva quasi 70 anni quando entrò alla Casa Bianca. Come da tradizione, scelse un Segretario al Tesoro proveniente dalla finanza (Donald T. Regan) ma chiamò il giovane teologo repubblicano (era stato eletto deputato a 29 anni) per l’energia con cui aveva pilotato il gruppo parlamentare della Camera negli Anni 70. Gli affidò il riassetto della spesa e delle entrate: il Direttore del Bilancio ha il rango di Ministro ed è parte del Gabinetto. Stockman era digiuno di tasse e tributi; lo affiancò con un giovane avvocato, Richard Barman. Stockman era la prima persona che Reagan vedeva la mattina e l’ultima che salutava alla fine della giornata di lavoro. Lo ricorda il politologo Paul Pierson (Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università della California a Berkeley e a lungo docente all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole) nel suo libro fondamentale sulla rivoluzione liberale negli Anni di Ronald Reagan e Margaret Thatcher.
Ero stato presentato a Stockman da amici della Georgetown University. Più giovane di me di circa un lustro (allora sembrava molto), viveva asceticamente in un monolocale (diventò un one-bedroom apartment alla nomina a Ministro). Sapeva poco di teoria economica ma aveva una voglia matta di rimettere in sesto i conti e ridurre l’intervento pubblico, nonché l’energia per negoziare sino all’alba con il Congresso. Riservato e tenace, ancora celibe, distinto e distante dalla Washington-che-gode (nella capitale le nubili sono circa il doppio dei giovani non sposati), in un momento di sconforto esternò le difficoltà di tagliare la spesa e liberalizzare in un mondo politico dominato da lobby ad un amico giornalista che aveva un registratore in tasca e le pubblicò sull’ Atlantic Monthly. Rassegnò le dimissioni, ma Reagan non le accolse e lo tenne al Governo.
Il prossimo Esecutivo italiano sarà di 12 Ministri (oltre al Presidente del Consiglio). La carte vincente consiste nell’annunciare che saranno giovani (come lo era Stockman). Si sgombrerà da molti pretendenti e da complesse alchimie per tentare di fare quadrare il cerchio. Si intercetterà quel 7-10% dell’elettorato attratto dall’antipolitica. Si potrà definire e, soprattutto, attuare un programma che sappia intercettare le esigenze dell’Italia del futuro. Come, per gli Usa, seppe fare, con Stockman al Bilancio, il settantenne Reagan nel lontano 1981.
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