A furia di parlare francese, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa-Schioppa (TPS per gli amici- e pure per gli altri), ha confuso “tregua” con “armistizio”. In tema di fisco, il suo Vice Vincenzo Visco, VVV per gli amici (da cui, però, prende direttive in materia tributaria – e non solo) è stato chiaro. VVV emette periodicamente proclami badogliani: “la guerra continua” (contro gli evasori, contro gli elusori, ora pur contro le esenzioni da alcuni tributi agli enti non-profit, tra cui le Chiese). Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ha tentato di parare la gaffe (a Roma si direbbe “metterci una pezza”) avvertendo, da tutti gli schermi televisivi disponibili, che non si tratterà di “tregua”, ma “di pace fiscale”- perfino con riduzione delle tasse (senza precisare se verranno ritoccate le voci o le aliquote o se . ipotesi più probabile, diminuirà il gettito sia per il rallentamento economico provocato anche dalla stangata dell’anno scorso sia per l’erogazione dei rimborsi, in attesa da mesi).
A fronte di tanti e tali proclami (e della rivolta degli elettori), comunque TPS non può che auspicare un armistizio sia perché le entrate pare vadano bene (ma – nessuno, tranne la Banca d’Italia, lo dice – le spese galoppano molto più rapidamente di quanto anticipato) sia perché TPS è consapevole di essere Ministro di un Governo che ha avuto una maggioranza di appena 24.000 voti ed in un Paese in cui si avvertono sempre più fermenti di ribellione fiscale.
In cosa consisterebbe l’armistizio? Non verrebbe aumenta ulteriormente la pressione tributaria e contributiva da parte dell’amministrazione centrale; in cambio, si farebbe qualche riformina bipartisan (sottolineo riformina, come qualche ritocco alle authority, non riforma vera e propria, neanche gli accenni di riforma in materia di servizi pubblici locali e di liberalizzazioni proposti da suoi colleghi in Consiglio dei Ministri). L’armistizio verrebbe corredato da un arresto all’incremento strisciante dei tributi locali: aumentati in dieci anni (secondo alcuni) del 111% e secondo altri del 154% - comunque una cifra da fare traballare le poltrone di molti sindaci e, quindi, giunta, se vogliamo, ad un arresto per cause naturali.
Cosa comporterebbe l’armistizio dal lato della spesa? Lo ha capito bene (un tempo si diceva: contadino, scarpe grosse ma cervello fino), il Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro: dato che TPS è troppo signore (pardon, monsieur) per dire di “no” al Ministro-ombra dell’Economia, Antonio Ferrero ed ai suoi accoliti, la scure cadrebbe principalmente sulle opere pubbliche. Il Presidente del Consiglio Romano Prodi ne ha esperienza: alla sua prima tornata a Palazzo Chigi, ha cancellato con un colpo di penna la metà della spesa in conto capitale. Per questo motivo, Di Pietro ha presentato un proprio programma quinquennale di opere pubbliche, lo ha dato alla stampa, si è assicurato il supporto della Commissione Europea e lo difenderà con i denti da eventuali tagli di TPS.
Tuttavia, da quando TPS ha parlato di “tregua”, volendo dire “armistizio”, il quadro è cambiato. E non in meglio. Lo stesso TPS ha detto che le turbolenza sui mercati ( la cosiddetta crisi del subprime ) comportano una riduzione della previsione del tasso di crescita per il 2008 dal 2% all’1,8%. In effetti, davanti ai “tecnici” riuniti per l’”aggiornamento del Dpef” (documento di supporto alla legge di bilancio), la previsione del “consensus” (i 20 maggiori istituti econometrici internazionali) sono per una crescita dell’1,5% per il nostro Paese l’anno prossimo; il 30% degli istituti formulano previsioni ancora più basse. Cassandra diceva cose poco gradevoli, ma aveva ragione. La politica di spesa si basa su una crescita almeno del 2% quale programmata nel Dpef e nell’accordo sul Welfare del 23 luglio. Una riduzione di un quarto del tasso di crescita comporta tagli molto più drastici anche di un eventuale azzeramento degli stanziamenti per opere pubbliche. Ed una rivolta da parte di Ferrero & Co.
Inoltre, come ha ben argomentato Nicola Rossi sul “Corriere della Sera” del 30 agosto, occorre chiedersi quanti e quali aumenti delle entrare di cui ci si è vantati negli ultimi mesi sono fittizi o mero frutto delle misure precedenti al 2006 oppure ancora legati alla ripresina del 2005. In questi casi, non si ripeteranno nel 2008 e TPS dovrà ingoiare le direttive del suo VVV a favore di qualche nuovo marchingegno tributario. Mentre gli italiani aspettano ancora la restituzione della “tassa per l’Europa” inventata da Prodi nel 2006 e che sarebbe stata resa subito dopo l’ingresso nell’euro.
Naturalmente, è lecito porre una domanda: perché “quelli del consesus” sono così pessimisti? L’elemento qualificante è l’effetto della crisi del subprime sul disavanzo Usa e quindi sul riaggiustamento e da lì sui cambi: il servizio studi Bce ha predisposto un lavoro che uscirà in settembre ma TPS deve avere già letto . Inoltre Goldman Sachs e Merryll Lynch prevedono che l’euro arriverà a 1.42 dollari Usa entro la fine dell’anno. Lo conferma Currency Direct di Londra: nei giorni della credit crunch i cambisti sono saltati sul dollaro ma adesso (dopo la forte infusione di liquidità da parte della Bce e , in misura più modesta della Fed) si viaggia verso una stabilizzazione attorno 1.40 dollari per euro. Ciò costa caro, specialmente in termini di export . E l’Italia è un Paese tradizionalmente trainato dalle esportazioni.
Quindi, non ci sono in giro nessuna lamentosa Cassandra e nessun Profeta Geremia ma solo un po’ di conoscenze di economia.
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