Il “trinomio incompatibile” è uno dei primi teoremi che si studiano nei corsi di politica economica: non è possibile avere al tempo stesso, mercati finanziari aperti, tassi di cambio fissi e politiche monetarie indipendenti. Il management dell’Alitalia è alle prese con un analogo “trinomio incompatibile”: senza fare una nuova gara (e vera) avere risorse nuove da un nuovo partner (meglio se industriale , non solo finanziario), evitare un riassetto severo e mantenere le caratteristiche di “italianità” e di “livelli occupazionali” (non soltanto in generale ma anche in singolo aree del Paese) considerate essenziali da varie parti dello schieramento politico si cade in un “trinomio” incompatibile, Non è concepibile che qualcuno (italiano o straniero) metta risorse in un’azienda che perde 2 milioni di euro al giorno senza avere la facoltà di attuare un piano di riassetto severo diretto ad incidere su rotte ed occupazione; se il partner coraggioso (in quanto occorre essere davvero arditi per accollarsi un’azienda nelle condizioni di Alitalia) è straniero vorrà mettere la propria bandiera accanto al tricolore.
Dalla riunione del Consiglio di Amministrazione (CdA) di oggi 30 agosto è emerso non l’atteso piano industriale ma un “programma di sopravvivenza” dai lineamenti poco chiari (sulla base di quanto è stato comunicato): un aumento di capitale (se si trova chi è pronto a fare versamenti), riduzioni al margine di rotte ed organici. Tra una diecina di giorni una nuova sessione del CdA dovrebbe esplicitare qualcosa in più. I comunicati ufficiali fanno ritenere che ci si è messi su uno di quei percorsi in cui le speranze si autoalimentano sino a diventare illusioni: la speranza-illusione è che, in mancanza di un partner disposto ad accettare il “trinomio incompatibile”, la diplomazia economica e trasportistica internazionale dell’Italia sia in grado di convincere le autorità comunitarie ad interpretare una nuova infusione di risorse da qualche fonte parapubblica non come un “aiuto di Stato”; il neocolbertismo di Sarkozy darebbe una mano. Tuttavia, anche nell’eventualità (peraltro poco verosimile) di qualche concessione da parte di Bruxelles, è difficile vedere da quale parte del settore pubblico o parapubblico possano venire le risorse.
L’illusione – si diceva ai tempi dell’Inquisizione , come ci ricorda “Il prigioniero” di Luigi Dallapiccola– è la peggiore delle torture. In economia aziendale è quella che di solito precede le procedure giudiziarie di liquidazione e di fallimento: la si impartisce pensando che in tal modo la vittima designata giudichi una liberazione l’atto di portare i libri in tribunale. Perché infierire su tutti coloro che hanno un legittimo interesse in Alitalia, a cominciare dai dipendenti della compagnia e dal vasto indotto?
Non sappiamo se Alitalia abbia in cassa il necessario per fare una nuova (e vera) asta – l’unica strada per trovare un’acquirente serio con un management all’altezza per rilanciarla, riducendo sì rotte ed organici eccessivi ma mantenendo il cuore della compagnia. Se lo ha, si imbocchi questa strada al più presto. Lo chiedano anche i sindacati nell’interesse dei lavoratori e delle loro famiglie, nonché di tutto ciò che ruota attorno ad Alitalia. In questa vicenda, la tattica dei temporeggiatori si è già rivelata perdente , accumulando stock di debiti e flussi di perdite.
Sappiamo che l’attuale Presidente di Alitalia è stato maestro di liquidazioni. Vogliamo pensare che sia stato scelto non per queste doti ma per la capacità di rilanciare un’azienda che, pur se dissestata, rappresenta ancora molto per molti. Un Governo ed una gestione perditempo, aggrovigliati nel trinomio incompatibile- vorrebbero soltanto dire una penosa agonia.
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