Il rischio di contagio della crisi del subprime sui mercati europei (dopo la brutta botta data alle Borse negli ultimi giorni della settimana scorsa) è limitato – si usa dire- in quanto gli istituti di credito europei non seguono prassi spericolate nell’immobiliare ( come hanno fatto le loro controparti Usa). Ci sono, però, due talloni d’Achille che occorre tenere in conto. In primo luogo – come sottolinea uno studio , di imminente pubblicazione – di Geoffrey Wood dalla Cass Business School di Londra – le banche europee (non i singoli comparti) tendono a prendere rischi anche maggiori di quelli degli istituti Usa in quanto a tre lustri dalla firma del Trattato di Maastricht non è ancora entrato nella loro mentalità il divieto europeo ai salvataggi pubblici (sul tipo di quelli che hanno interessato il Crédit Lyonnais in Francia ed i banchi meridionali in Italia). Con il grado molto avanzato di integrazione dei mercati, le loro sussidiarie ed affiliate sono spesso il veicolo per assumere rischi maggiori di quelli che si prenderebbero in Patria. La mancanza di un sistema regolatorio, e di vigilanza, europeo, secondo Wood, aggrava il tutto.
L’altro tallone di Achille sono le regole contabili. L’International Financial Accounting Standard (Ifas) si applicano, formalmente dal 2005, ma secondo IainCoke dell’Institute of Chartered Accountants di Londra, ancora una vola senza un quadro regolatorio e di vigilanza a livello europeo le norme mordono meno di quanto non sembrino e ci sono ancora differenza di interpretazioni di definizioni importanti.
Per la trasparenza e le completezza dei conti, campo, la qualità della revisione è cruciale. In un lavoro in corso di pubblicazione nel periodico Contemporary Accounting Research, ma di cui si può ottenere il testo su sopporto magnetico rivolgendosi agli autori (Jerer Francis - francis@missouri.edu e Dechun Wang- dwang2@unl.edu) si esamina l’interazione tra qualità della revisione (da parte dei quattro “grandi” del settore (Pricewaterhousecoopers, Deloittle Touche Tomatsu, Ernst & Young, Kpmg) in un vasto campione di s.p.a in 42 Paesi. Vengono esaminati, in particolare, tre aspetti nell’auditing al fine di intercettarne il rapporto tra qualità e quadro legislativo-regolatorio: la dimensione di ricavi per competenza molto distanti dalla norma (sia di segno negativo sia positivo) controfirmati dai revisori; la probabilità di bilanci in rosso; e la prudenza nel certificare ricavi. La conclusione è che la qualità della revisione aumenta (se affidata ad uno dei quattro “grandi”) nei Paesi a quadro legislativo-regolatorio “forte” : è raro che vengano certificati consuntivi sospetti. Mentre se affidata ad società di revisione di piccole dimensioni (e la cui reputazione internazionale è relativamente poco in gioco) , la qualità non cambia quale che sia il quadro legislativo-regolatorio. A differenza di analisi precedenti, lo studio mostra che il quadro legislativo-regolatorio è un incentivo a lavorare bene anche per i quattro “grandi”. Se il contesto (e la protezione agli azionisti) è debole, pure il lavoro dei “grandi” può lasciare a desiderare.
Come giungere – è questa, dunque, la questione – ad un quadro normativo incentivante anche per i “grandi”? Da alcuni lavorano su questi temi Paolo Volpin della London Business School e Marco Pagano della Università di Napoli Federico Secondo. Seguono un approccio di “political economy” per analizzare il nesso tra meccanismi elettorali (ed altri aspetti di politiche pubbliche) e quadro normativo di “corporate governance”. In sintesi , in un campione di 45 Paesi, la qualità normativa è negativamente correlata con sistemi elettorali proporzionali ed in 21 (tutti Ocse) positivamente correlata con le tutele occupazionali. Su un campione di 47 Paesi (studiato nel periodo 1993-2002), la qualità della regolazione (correlata, si è visto, a sistemi elettorali maggioritari) comporta non solo migliore trasparenza e revisione ma anche un migliore sviluppo dei mercati dei capitali e dell’attività di fusioni ed acquisizioni transfontaliere.
In Italia, a fine giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato una programma di rafforzamento dell’Analisi di impatto della regolazione (Air) introdotta in Italia nel 1999. Il programma è mirato a rafforzarne la componente economico-finanziaria e dovrebbe essere accompagnato da un vasto piano formativo (anche sulla base di un recente studio della Brookings Institution – il working paper 07-09) che ha destato molta attenzione nei palazzi romani. I timori ed i tremori suscitati dal contagio della crisi del subprime, potrebbero (anzi dovrebbero) fornire un impulso.
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