Ci sono, semplificando, due modi per leggere gli andamenti dei mercati finanziari di queste settimane: a) uno pone enfasi sulla crisi del subprime ( e quindi delle Colletarized Debt Obligations – Cbo , derivati che hanno come sottostante obbligazioni supportate da garanzie reali o personali) che dagli Usa si starebbe espandendo ad altri mercati (quelli del Pacifico in prima battuta ma anche alcuni di quelli Ue); b) un aggiustamento più generalizzato delle quotazioni. Gli interventi delle autorità monetarie sono dirette essenzialmente al secondo di questi fenomeni, al fine di consentire (come nell’ottobre-novembre 1987) un atterraggio graduale e morbido non uno brusco.
Per comprendere i Cdo ed i rischi del contagio è molto utile uno studio appena completato a Yale ( "Collateralized Debt Obligations and Credit Risk Transfer", Yale ICF Working Paper No. 07-06- in libreria in autunno) ; se ne può chiedere una copia od una sintesi ad uno degli autori, Douglas J. Lucas (douglas.lucas@ubs.com) che lavora anche per una delle banche europee maggiormente colpite dal fenomeno, la Ubs, e, quindi, ha fatto esperienza diretta dei Cdo. In breve, i Cdo utilizzano swaps, options ed altri derivati per trasferire il rischio da un’istituzione finanziaria ad un’altra. Nel trasferimento, cercano anche di diversificarlo e ridurlo , impacchettando, per così dire, titoli ad alto rischio (come i subprime dell’immobiliare Usa) con swaps e options meno spericolate, quali quelle collegate ai futures delle materie prime. Altro modo per attutire il rischio è vendere il pacchetto ad un consorzio di banche o assicurazioni tramite varie forme di syndacation . I Cdo sono un prodotto finanziario recente, da non confondere con i Credit Risk Transfer (Crt) sviluppati nella seconda metà degli Anni 80; ad esempio, a differenza dei Crt non richiedono una Special Purpose Entity (Spe) per incanalare l’operazione. Inoltre, in tempi ancora più recenti sono nati derivati dei Cdo, per trasferire il rischio senza vendere il pacchetto di subprime, swaps, options, futures e quant’altro. Nel ramo vengono chiamati “synthetic Cdo”. Secondo Lucas ed i suoi coautori siamo alle prese con una “crisi di sviluppo” (un po’ quelle dei bambini che soffrono quando metteno i primi denti) che si risolverà presto. Kimio Muriamone dell’Università di Tokio ha appena pubblicato un saggio (“Volatility Model”) nella Japanese Economic Review in cui afferma, invece, che i modelli attualmente in uso per stimare la volatilità dei derivati devono essere ripensati alla luce dei Cdo: “un campo di studio e tutto da esplorare”. In merito al quale, è impossibile, quindi, fare previsioni. Sotto il profilo operativo, è essenziale avere al più presto (come peraltro richiesto delle autorità italiane di regolazione ) una mappa completa di quanti Cdo, e di quanti synthetic Cdo, sono nei portafogli di banche, assicurazioni, società di gestione di risparmio e fondi pensione. E, se possibile, di quale è la loro qualità. Soltanto sulla base di tale mappa si potrà definire una strategia.
Veniamo adesso all’altra faccia della medaglia: la “crisi di sviluppo” dei Cdo, nelle loro varie forme e guise, si inserisce o meno in un aggiustamento di fondo dei mercati? Attualmente il rapporto prezzi:utili delle azioni dello Standard & Poor 500 è 16,8:1 quindi in linea con la media (16,1:1) dalla fine della seconda mondiale. L’indicatore (P:E ratio) è stato elaborato 70 anni fa da Benjamin Graham e David Dodd dell’Università di Columbia: Warren Buffett è stato un loro allievo di successo. Il loro manuale “Security Analysis” (“Analisi del Mercato Azionario”), la cui prima edizione risale al 1934 ma era ancora adottato da Università Usa negli Anni 70, specifica che il raffronto deve essere tra le quotazioni azionarie e gli utili non dell’ultimo anno (così si calcola il 16,8:1) “ma della media di non meno di cinque anni, se possibile sette o dieci). Ricomputando l’indicatore sulla base degli ultimi dieci anni si giunge a 27:1 – degli ultimi cinque anni a 22: 1. In effetti negli ultimi tre-quattro anni gli utili delle imprese Usa (e non solo) hanno riportato aumenti rapidissimi in quanto le aziende hanno metabolizzato l’innovazione tecnologica degli Anni 90. Se tali incrementi continueranno, l’indicatore resterà su un tranquillo 16-18:1 ; e si potrà assorbire facilmente la crisi del Cdo. Nell’eventualità che si torni a 25-27:1 , l’indicatore si porrà vicino al 30:1 – Avvisaglia di una procella analoga a quella del 1987 o dell’esuberanza irrazionale di cui Robert Shiller di Yale ha scritto negli Anni 90.
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