La lettera del Presidente del Consiglio Romano Prodi al periodico dello Spi (il Sindacato pensionati d’Italia della Cgil) ha un significato politico forre. Non solo viene inviata dall’inquilino di Palazzo Chigi (e non dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale) ma è diretta agli iscritti allo Spi , oltre un quarto dei quali ha compreso che saranno i loro figli a pagare il costo dell’accordo sulla previdenza dello scorso luglio tanto nell’immediato (con contributi più elevati) tanto nel futuro (con assegni previdenziali più risicati).
Il Tempo è stato il primo quotidiano ad avvertire che si prendeva ai più poveri per dare ai meno poveri. Il 4 agosto lo ha scritto Rossana Rossanda su Il Manifesto . Il 26 agosto, al rientro dalle ferie, Prodi ha trovato sulla scrivania un editoriale di Francesco Gavazzi in cui si riprendeva quanto scritto da Il Tempo il 21 luglio (Pensioni: vantaggio di pochi, danno di molti) ed il 30 luglio (La scalinata peggio dello scalino); argomentazioni analoghe venivano fatte dal gruppo di economisti de La voce.info .
Se l’accordo diventa legge, gli aumenti delle pensioni minime, non saranno a beneficio delle famiglie più povere — cioè il 10% più povero nella scala dei redditi. Pochi fondi andrebbero agli otto milioni di pensionati che non arrivano a 750 euro al mese e la gran parte andrebbe alle famiglie di lavoratori che beneficerebbe anche degli scalini (ossia di potere continuare a fruire di pensioni di anzianità in età relativamente giovane). Il costo dell’operazione verrebbe posto a carico dei 4 milioni di precari (Il Tempo dell’8 agosto) in gran misura figli delle famiglie nell’ultimo 10% della scale dei redditi, quelle davvero più povere proprio in quanto – lo rivelano le indagini del Ministero del Lavoro – ancora oggi sono le relazioni parentali ed amicali a portare al contratto a tempo indeterminato.
C’è ancora di più. In primo luogo, senza un riassetto dei coefficienti di trasformazione (per convertire in pensioni annuali i montanti di contributi accumulati), la spesa previdenziale pubblica minaccia di aumentare in un lustro dal 14% al 17% del pil; quindi, i giovani (particolarmente delle famiglie più povere) devono aspettarsi pensioni ancora più basse. Inoltre, l’accordo demolisce un pilastro delle richieste formulate dello Spi sin dal 1978 (ben lo sanno i rappresentanti Spi in seno a quella che allora era la Commissione Castellino per la riforma del welfare): la separazione tra previdenza ed assistenza (diventata legge nel 1989). E scardina i principi di base del sistema contributivo che si sta faticosamente tentando di mettere in piedi (sulla base di un vasto consenso anche internazionale) dall’aprile 1995.
Nella lettera allo Spi parla di “svolta” che il Governo da lui presieduto avrebbe fatto. Sa che è la “svolta del gambero” - all’indietro di 13-30 anni (a seconda che si parta dalla riforma del 1995 o dai lavori della Commissione Castellino). Sa pure che la coalizione da lui guidata ha vinto per 24.000 vinto e che lo Spi ha oltre 3 milioni di iscritti. Molti dei quali sono perplessi su quanto rischia di venir perpetrato a danno dei loro figli. Se l’accordo viene declinato in norme dello Stato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento