venerdì 17 agosto 2007

DOBBIAMO RIPRENDERE A PRIVATIZZARE

Non siamo più gli ultimi della classe. Anzi nella classe non ci siamo più. Ci hanno messo fuori dalla porta. In attesa di riammetterci in aula, se ci comporteremo bene. Questo è l’esito dell’ultima tornata del Privatization Barometer , un indicatore costruito delle Fondazioni Iri e Eni Enrico Mattei – non proprio covi di liberisti ad oltranza. Per coincidenza, è stato pubblicato il giorno in al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Francesco Parlato, con una lunga esperienza all’Iri, assumeva l’incarico di direttore generale, finanza e privatizzazioni, diventando, quindi, la guida delle strategie e delle politiche di privatizzazioni in Italia. Il Privatization Barometer riguarda il primo semestre 2007: la Francia (non ancora Sarkoziana) è il capofila della vendita di attività pubblica; seguono la Finlandia, la Gran Bretagna, la Svezia, la Germania e molti Paesi di recente adesione all’Ue (soprattutto la Polonia e la Repubblica Cèca).
Nel Dpef di poco più di un anno fa (e nella relazione alla finanziaria presentata il 30 settembre scorso), l’Italia aveva annunciato privatizzazioni alla grande (per evitando di toccare i dossier lasciati in eredità del Governo precedente: Rai, Poste, ulteriori cessioni di Enel e Eni). A livello centrale, quella dell’Alitalia sarebbe stata “la madre di tutte le privatizzazioni” ed avrebbe inciso in misura significativa in materia di politica dell’industria e della tecnologia. Si sarebbe, in parallelo, privatizzato e soprattutto liberalizzato in grande stile nel settore dei servizi pubblici locali. In effetti, non si è fatto un bel nulla, né a livello centrale né a quello locale: in passato, eravamo agli ultimi posti del Barometer, adesso neanche più in quelli. Alcuni componenti dell’Esecutivo, in vacanza, sono imbarazzati. Altri (quelli della sinistra reazionaria), anche loro in vacanza, gongolano.
Il Tempo ha seguito con attenzione la saga inconcludente del beauty contest per l’Alitalia. Il primo agosto, Il Tempo ha fatto il punto (sulla base di analisi quantitative) in materia del nulla di fatto nel campo dei servizi pubblici locali. Quindi, gli esiti del Barometer non ci giungono inattesi.
Come uscirne? Se, per una ragione o per l’altra, non si vuole procedere in materia di Rai, Poste, Enel ed Eni, il perno resta sempre la privatizzazione di Alitalia in quanto, a livello locale, il processo di riaggrerazione in corso si aggiunge a nodi strutturali che né il Parlamento né gli enti locali sembrano intenzionati ad affrontare. A fine agosto, il CdA Alitalia dovrebbe varare piano industriale, propedeutico ad una nuova asta, gara o selezione competitiva di sorta per porre in vendita la partecipazione di controllo del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) nell’azionariato della compagnia. Sempre che non avvenga un colpo di scena: invece della privatizzazione, un aumento di capitale ampliando la compagine azionaria con l’ingresso di privati (anche stranieri). Voci insistenti sostengono che sarebbero in corso trattative con alcuni Swf (Sovreign wealth fund), fondi di investimento molto liquidi controllati da Stati Sovrani e da essi utilizzati per operazioni all’estero sia in portafoglio sia dirette. Swf è sigla ancora poco nota in Italia; secondo The Economist, i Swf disporrebbero di una liquidità di 1.500-3.500 miliardi di dollari (circa 1.200-3.000 miliardi di euro) con cui operare. Esperti del Fmi affermano che i capitali Swf in cerca di impieghi sarebbero almeno 5.000 miliardi di dollari (attorno a 4.500 miliardi di euro). Un saggio di Larry Summers, ex- Segretario al Tesoro Usa, sottolinea che i Swf possono spesso avere obiettivi pi vasti di quelli della redditività finanziaria. Proprio come l’Iri di un tempo. Ed ora due ex-Iri sono alla guida rispettivamente di Alitalia e delle privatizzazioni.
La tentazione di irizzare Alitalia con un Swf è forte. Oscar Wilde amava dire che si può resistere a tutto tranne che alle tentazioni. Auguriamoci che Prodi e TPS lo smentiscano.

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