mercoledì 29 agosto 2007

ONEGIN A SALISBURGO

Festival di Salisburgo
Eugenio Onegin
Scene liriche in tre atti (sette quadri) di Kostantin Schilowski e Peter I. Ciajkovskij,
Musica di Peter I. Ciajkovskij,

Sesta delle 12 opere di Ciajkovskij, “Onegin” ha avuto soltanto di recente una buona diffusione in Italia Alla Scala, ad esempio, ci sono stati appena 5 allestimenti per un totale di circa 30 rappresentazioni, dalla “prima” diretta da Toscanini nel 1900 alla produzione importata dal Festival di Glyndebourne (dove era stato varata nel 1994) nel gennaio 2006. Il lavoro, però, è stato messo in scena in quasi tutti i maggiori teatri d’opera italiani negli ultimi tre lustri, principalmente nell’allestimento (grandioso ma tradizionale) prodotto dal Comunale di Bologna nel 1991. L’allestimento di Bologna decretò era stato costruito su Paolo Coni, della cui breve stagione ha rappresentato uno dei momenti più alti. Dalibor Jenis ha interpretato efficacemente “Onegin” a Trieste, a Roma ed altrove. Mirella Freni è stata per decenni la Tatjana di riferimento indiscussa e più commovente. Molte edizioni italiane (anche quella della Scala nel 2006) utilizzano la partitura (ad organico ridotto) del 1879, concepita da Ciajkovskij per alcune recite (da parte di giovani elementi) al Conservatorio di Mosca. L’allestimento al Festival di Salisburgo 2007, impiega il rimaneggiamento (per vasto organico e voci scaltre) del 1885 per il Bolshoi.
Un cenno all’intreccio. Onegin è uno scapolo troppo bello, troppo altero e troppo brillante per cogliere le occasioni che la vita gli offre. E’ stato, per un certo periodo, uno dei seduttori più noti della Pietroburgo-che-può; ora – ha appena 23 anni – lo cercano solo ragazze di dubbia reputazione; è afflitto da “ennui” esistenziale. Accompagna in provincia il suo miglior amico (il sedicente poeta Lenski) e rifugge l’amore della sedicenne Tatjana). Offende, in pubblico, Lenski tentando, ad una festa, di fare finta di sedurgli la fidanzata (Olga, sorella di Tatjana). Ne segue un duello dove dopo avere tentato una riconciliazione, uccide Lenski. Ripara all’estero per tre anni. Quando cerca di nuovo Tatjana, viene respinto poiché ormai donna matura , per quanto ancora di lui innamorata, ha deciso di restare fedele al proprio anziano marito. Non gli resta che continua a vivere non più con “ennui” ma con disperazione.
Ci si dimentica spesso che il racconto in versi di Puskin e l’opera di Ciajkovskij sono incentrate sia sulla solitudine dello zitello di lungo corso incapace di cogliere la felicità anche quando gli è a portata di mano sia sul contrasto tra i fermenti del mondo delle due coppie giovani e l’ambiente oppressivo della provincia russa e di quello falso ed ipocrita della San Pietroburgo (luogo dove si svolge l’ultimo atto). Siamo nella Russia imperiale tra il 1820 ed il 1830 quando si avvertono i primi segnali dell’inizio della lunga agonia dell’Impero. “Onegin”, inoltre, rispecchia la crisi esistenziale ed erotico-sessuale di Ciajkovskij più di molte altri lavori del compositore – il tentativo di sfuggire dalla propria omosessualità con un “matrimonio bianco” e la pazzia della moglie quando scopre le tendenze del marito. E’ in questo contesto che si spiega come dei personaggi del dramma in musica , soltanto una giovane donna, Tatjana, nella “scena della lettera” – si ribelli, con un atto di totale anticonformismo (“dichiararsi” non andare in sposa a chi le è designato dalla famiglia), alla società in cui vive.
La splendida (e morbosa) partitura di Ciajkovskij guarda alla grande musica francese ed italiana di fine Ottocento, distanziandosi dalla “scuola nazionale russa” allora in formazione. Anticipa, per molti aspetti, il Novecento, rompendo forme tradizionali e fondendo innovazione orchestrale e vocale ardita con musica folkoristica ed anche leggera (i ballabili, specialmente quelli del secondo atto).
L’allestimento di Andrea Breth (regia), Martin Zehetgruber (scene) , Slike Willert e Marc Weeger (costumi) trasferisce la vicenda dal 1820-1830 al 1985 circa (cioè agli ultimi anni del regime comunista in Russia). La scelta è intelligente in quanto giustappone ancora di più le due giovani coppie con elementi contadini della Russia di sempre, Filipevna) e con un mondo di gerarchi di partito e ufficiali porcelloni (c’è una buona dose di sesso delle salette accanto ai due saloni da festa del secondo e del terzo atto), mentre si annusa la presenza del Kgb. Durante l’introduzione orchestrale, ciascun dei tre atti è aperto da Onegin (di spalle rispetto agli spettatori) che vede su un televisore in bianco e nero binari ripresi da un treno che avanza lentamente, quasi senza meta. La produzione inoltre sfrutta tutta l’ampiezza della Grosse Festspielhaus ed il suo unico strumento tecnologico (un palcoscenico girevole che ha oltre 40 anni). Nel primo atto, forte il contrasto tra i campi di grano dove tra le spiga Lenski e Olga fanno l’amore e gli ambienti grigi degli interni. Nel secondo, la festa nella casa delle due ragazze e lo scontro verbale tra Onegin e Lenski è in una varietà di sale; il duello in un vasto ambiente grigio-nero. La festa del terzo atto è in una sala di specchi dove viene mostrato una società ormai stanca ed in disfacimento (unica eccezione l’anziano generale Gremin, marito felice di Tatjana). Il quadro conclusivo un vastissimo ambiente spoglio e triste: l’altro del palazzo di appartamenti dove vivono Gremii e Tatjana. Tutti i cantanti hanno le “physique du rôle” e recitano molto bene. Buona anche la dizione, grazie alla presenza di cantanti russi e di cantanti europei e nord-americani specializzati nel repertorio russo.
Daniel Barenboim guida i Wiener accentuando il clima scuro della transizione storica ed emotiva che fa da fondale alle “scene liriche”; specialmente scuri i violoncelli ed i fagotti a cui si giustappone la limpidezza degli archi e dell’arpa nei momenti di gioia dei “ragazzi” al primo atto e nel tentativo (mancato) di riconciliazione tra Onegin e Lenski prima del duello. I tempi, dilatati nella scena della lettera ed in quella del duello, vengono affrettati nelle due scene di festa e nella stretta finale (dove Barenboim) ci regala un finale davvero incandescente).
Tra le voci, in primo luogo, una scoperta: il giovane tenore canadese Joseph Kaiser – di grande presenza scenica ed indubbia avvenenza (necessaria per la parte) ha un registro molto ampio (da tenore lirico puro diventa senza difficoltà un tenore lirico spinto), un fraseggio perfetto ed un legato morbido. Affronta l’”arioso” del secondo quadro del secondo atto senza alcuna difficoltà, ma ancora più interessante è come gestisce “la scena”, di chiusura del primo quadro sempre del secondo atto V vashne dome!in cui passa con grande delicatezza dal bi bemolle al do.
Accanto a lui, il bel Peter Mattei (considerato l’Onegin perfetto di questi anni) appare scolorito: nei primi due atti ha avuto difficoltà di emissione (poteva essere un problema temporaneo della serata) per riprendersi nel terzo dove ha messo in gioco tutte le sue qualità di attore, unitamente al suo metro e 90 centimetri. Indubbiamente affascinate in jeans, maglione bianco e Rays Ban nel primo atto ed in grisaglia Anni 80 negli altri due, il timbro pare avere perso la trasparenza che mi colpi cinque anni fa al Festival di Aix en Provence.
Anna Samuil pare tagliata su misura per Tatjana. E’ un soprano lirico puro che avevo già apprezzato a Berlino nel ruolo di Eva dei Meistersinger wagneriani. Russa, si trova ancora più a suo agio nell’opera di Ciajkovskij . Ha avuto meritate ovazioni alla scena della lettera (Puskai pogibnu ya) nonostante un autorevole, ma temperamentale, critico italiano abbia lasciato la sala perché la lettera non veniva scritta a mano ma con macchina da scrivere sovietica Anni 70 (in linea con il resto dell’allestimento). Davvero regale nel terzo atto e nell’ultimo slancio appassionato con Onegin (tale da ricordare le inquadrature finali de “La Notte” di Michelangelo Antonioni).
Ekaterina Gubanova è un’Olga misurata (che fa percepire una certa freddezza di fondo; dal romanzo di Puskin sappiano che dopo la morte di Lenski non tarderà a trovare marito, avere figli e trascorrere una lunga esistenza nella provincia russa). Di livello le caratterizzazioni (Emma Sarkissian, Reneé Marloc, Ryland Davies).
Qualche parola a parte per Ferruccio Furlanetto (Gremin) . Appare solo nel primo quadro del terzo atto ed ha soltanto un’aria. L’applauso che ha ricevuto non è un premio alla carriera, ma per la carica psicologica e vocale che ha saputo dare a Gremin (principe nell’originale, generale in questa edizione), anziano e vissuto ma teneramente innamorato di Tatjana: il suo Lyubvi vsey vozrasti pokorni (l’amore non ha età: gli si deve soccombere ogni giorno) verrà ricordato come rendere grane e significativo un ruolo solo apparentemente piccolo.



LA LOCANDINA

Regia: Andrea Breth
Scene : Martin Zehetgruber
Costumi: Silke Willrett, Marc Wegger
Coreografia: Catharina Lűhr
Direzione musicale: Daniel Barenboim
Orchestra . Wiener Philarmoniker
Coro: Vienna Staatsoper

Larina Renée Moloc
Tatjana……………..Anna Samuil
Olga………………..Ekaterina Gubanova
Filipjevna………….Emma Sarlissián
Eugen Onegin………Peter Mattei
Lenski………………Joseph Kaiser
Gremin………………Ferruccio Furlanetto
Triquet…………… Royal Davis
Un capitano……….Sergej Kownir
Un attedente: Georg Nigl


Salisburgo, 25 agosto

Giuseppe Pennisi

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