mercoledì 29 agosto 2007

FRANCO TIRATORE A SALISBURGO

DER FREISCHŰTZ
(Il Franco Tiratore)
Festival di Salisburgo

Innanzittutto, una precisazione lessicale: il titolo della prima (o la seconda, contando “Undine” di E.T. A Hoffmann) grande opera romantica tedesca (per l’appunto “Der Frieschűtz” di Carl Maria von Weber ) viene tradotto in italiano indifferentemente “Il franco cacciatore” o “Il franco tiratore”. Propendo per la seconda versione. In primo luogo, anche se Max , l’eroe dell’opera, è un cacciatore, il perno del dramma è una gara di tiro. In secondo luogo, l’aggettivo qualificativo “franco” (la traduzione letterale sarebbe “libero”) non ha nulla a che vedere con “franchezza” o “schiettezza” oppure “sincerità” come si intende in italiano. Come ebbe a sottolineare Francesco Spera in un bel saggio circa tre lustri fa, Max non è né schietto né sincero né tanto meno ingenuo in quanto arriva a stringere un patto con il diavolo per vincere la gara barando (o, se volete, dopandosi), l’accordo con il maligno non va in porto soltanto perché si pente (ed un provvidenziale Eremita rimescola le carte all’ultimo momento). Max viene, però, punito con un anno di forzata castità ed l’opportunità di ritentare (dopo 12 mesi) la prova. Come un “franco tiratore” della politica non segue le regole del gioco. E ne paga le spese.
Fatta questa precisazione lessicale, due parole sul significato dell’opera, tanto bella e tanto importante quanto raramente eseguita in Italia (ne ricordo un’edizione semi-scenica all’Accademia di Santa Cecilia, circa dieci anni fa ed una a Bologna oltre venti anni fà). Nel teatro in musica, il romanticismo tedesco è profondamente differente da quello italiano in quanto sono preponderanti due elementi che mancano quasi completamente dal melodramma verdiano (espressione certamente più alta del nostro romanticismo): l’eros ed il demoniaco. In Verdi predomina la passione (anche nell’opera con il duetto più carnale, “Un ballo in maschera”) non l’eors; di fronte al demoniaco (si pensi a “Macbeth”, a “Il Trovatore” allo stesso “Otello” – lavori in cui c’erano tutti i tratti per sentire odore di zolfo), viene gettato un velo, e prese le distanza, a ragione dall’anticlericalismo agnostico di buona parte dell’intellighentzia del nostro Risorgimento. Eros e demoniaco sono al centro de “Il franco tiratore”. All’eros maschile del mondo di Max, e di Caspar (ciascuno dei due voglioso di finire sotto le lenzuola con Agathe) si contrappone il mondo di Agathe e di Ännchen, “un soffio d’aria pura” – ha scritto Giovanni Carli Balolla – se raffrontato con quello duro dei cacciatori (o quello satanico della Gola del Lupo) , ma non per questo meno denso di eros: Agathe aspira a finire sotto le lenzuola con Max anche se sa che verosimilmente la gara a cui è legato il suo futuro sarà vinta da Caspar (ove non ci fosse il colpo di scena finale). Inoltre, il romanticismo tedesco dà maggiore spazio alla natura, al paesaggio, di quanto non faccia il romanticismo italiano. E’ per tale ragione che gli ottoni e i fiati hanno – proprio ne “Il franco tiratore” – un ruolo preminente (rispetto all’evoluzione che l’orchestrazione del teatro in musica ha , nello stesso periodo, a sud delle Alpi ed ad ovest del Reno). Eros, demoniaco, spazio al paesaggio significano indubbiamente riallacciarsi alla tradizione culturale germanica. Infine, il melologo (che in Italia resta distinto dall’opera, specialmente nell’Ottocento) viene introdotto e viene mantenuta l’alternanza tra parti parlati e numeri musicali (Wagner baderà a fare sparire sia i primi sia i secondi). Le fonti de “Il franco tiratore” – come quelle de “L’Anello del Nibelungo” di Wagner – si perdono della tradizione orale di antiche leggende che vengono reinterpretate e reinterpolate per dare luogo ad “opera nazionale” che si distinguesse da quella italiana – allora prevalente in tutta Europa.
L’allestimento scenico di Falk Richter segue una traccia ben precisa e destinata a suscitare polemiche alla riprese, a Salisburgo o altrove: dato che le gare di tiro servivano principalmente a scegliere chi doveva abbracciare la carriera militare e che le pallottole manipolate da Caspar e Max (su ispirazione di Samiel, il demonio) possono assimilarsi a armi di distruzione particolarmente insidiose, la vicenda è trasportata ai nostri giorni. E’ anche letta come un “romanzo di iniziazione” di Max che, da adolescente, diventa adulto. Per portare avanti il disegno con coerenza , le parti parlate vengono ampliate (e vengono anche aggiunti personaggio recitanti, gli assistenti di Samiel). L’eros è presente (anzi amplificato: il mondo di Samiel è bisessuale (si allude a rapporti non solo intellettuali del demone con Caspar ed i due assistenti; si assistente ad un vero e proprio corteggiamento nei confronti di Mac) e nella tana del lupo si svolge una vera e propria orgia). Il demoniaco è presentissimo: vampate di fuoco avvolgono la fine del secondo atto e odore di zolfo resta in sala durante tutto l’intervallo. Sparisce, però, il paesaggio (anche se il mormorio della foresta rientra dalla buca d’orchestra) ed il magico viene ridotto alla distribuzione di catenine ed all’apparizione della croce nel finale. La scena unica viene integrata da proiezioni digitali. Non ci sono nudi integrali, se si eccettua una maxi-immagine di Leonardo Di Caprio (con il di dietro a tutto campo ma gli organi sessuali coperti da collante da imballaggio).
Markus Stenz concerta con abilità i Wiener Plilarmoniker , anche se si avverte qualche lentezza all’inizio del terzo atto. La formazione (ed il coro della Staatsoper) sono comunque splendidi: di gran livello gli ottoni (spesso carenti in Italia) ed ottimo l’assolo del violoncello.
Il protagonista è Peter Seiffert, ormai una delle migliori voci wagneriane su piazza (come si è constato nella recente “Valchiria” fiorentina). Ha un registro molto ampio, grande capacità di tenere il cento e di svettare (quando necessario) nonché un buon legato, tutte qualità che ha mostrato sin dal tremendo “Nein, länger trag ich nich de Qualen” con cui “esce” nella quarta scena del primo atto, specialmente nella parte centrale dell’aria (in sol maggiore). Tuttavia, ha due limiti: da un lato, è un attore mediocre (e poco credibile alla sua età e con la sua stazza nel ruolo dell’adolescente che deve dar prova di diventare uomo); da un altro la lunga frequentazione di Wagner gli ha fatto perdere quel belcantismo (quasi donizettiano) di uno Schreier o di un Araiza (interpreti del ruolo nel passato)– componente importante della vocalità di Max.
Petra Maria Schitnzer , moglie di Seiffert nella vita e a lui promessa (nella vesti di Agathe) nell’opera, mostra ancora una volta di avere un grandissimo spessore sia come cantante (affronta con serenità i trabocchetti di Wie nahte mir der Schlummer e primeggia nel terzetto e nel finale) sia come attrice (si è calata perfettamente nel ruolo). Si è meritata vere e proprie ovazione in Und ob die Wokie sie verhűlle
John Releya (Caspar) è un basso-baritono di qualità. Effiace sulla scena affronta l’aria di chiusura del primo atto (Schweig! Scweig!) in re maggiore-minore con grande agilità facendolo sfociare in un vero e proprio “allegro” in cui si mostrano i propositi di vendetta. E’ giovane; promette un’interessante carriera.
Ännchen è resa vocalmente molto bene da Aleksandra Kurzc: deliziosa nell’arietta Komm ein schlnker Bursch gegangen. Peccato che la regia la costringa in rapporti equivoci con i plurisessuati assistenti di Samiel. Markus Butter è un principe in doppiopetto come un banchiere di Francoforte, Gűnter Groissbőck un eremita che sembra un tardivo hippy; ambedue impeccabili localmente come il quartetto di fanciulle che dovrebbero fare da damigelle d’onore nelle nozze di Agathe .
Buoni i recintati : è loro mestiere.

Salisburgo, 23 agosto 2007-08-24
Giuseppe Pennisi

LA LOCANDINA

DER FREISCHŰTZ
(Il Franco Tiratore)
Opera in tre anni di Carl Maria von Weber
Libretto di von Friederich Kind
(adattato da Falk Richter)

Maestro concertatore: Markus Stenz
Orchestra: Wiener Philarmoniker
Regia: Falk Richter
Scene: Alex Harb
Costumi: Tina Kloempken

Agathe: Petra Maria Schnitzer
Ännchen……..Aleksandra Kurzak
Damigelle di Agathe: Hannelore Auer, Cornelia Sonnleithner, Yoko Ueno, Arina Holecek
Max Peter Seiffert
Caspar………..John Relyea
Principe………Markus Butter
Eremita……… Gűnter Groissbőck
Kuno………….Roland Brache
Kilian………….Alexander Kaimbracher

Ruoli recintati
Samiel…………Ignaz Kirchner
Suoi assistenti Rafael Stachowick, Sven Dolinski

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