FESTIVAL DI SALISBURGO
BENVENUTO CELLINI
Opera in due atti di Léon de Wally e Henry Auguste Barbier
Musica di Hector Berlioz
Al pari delle altre opere di Berlioz per il teatro in musica, “Benvenuto Cellini” è un’opera “maledetta”; in effetti, il lavoro più rappresentato di Berlioz è “La Damnation de Faust”, concepito non come dramma in musica per la scena, non le sue opere pensate per il teatro. “Cellini” è, in ordine cronologico, la prima. Nel concepirla, Berlioz venne senza dubbio influenzato dal suo soggiorno a Villa Medici come vincitore del prestigioso “Prix de Rome” e dalla lettura dell’autobiografia dell’artista rinascimentale. Un’autobiografia metabolizzata in modo molto personale: si riconosceva in Cellini in quanto genio e sregolatezza in un mondo in cui soltanto pochi lo comprendevano, ma si legga pure con auto-ironia nei confronti sia di Cellini sia del contorno – dalla burocrazia vaticana, ai sicofanti e questuanti che la circondavano, al Papa in persona. Venne progettata inizialmente come “grand opéra” in cinque atti, poi come “opéra comique” in due atti con parti recitate e numeri musicali, ma debuttò infine il 10 settembre del 1838 come opéra pura e semplice (con i dialoghi sostituti da recitativi accompagnati) e tonfò miseramente (pare anche a ragione dell’inadeguatezza degli interpreti). Venne riesumata da Listz per il Teatro di Weimar. Ridotta ed articolata in tre atti, semplificata nell’organico e nelle scene di massa (che la piccola buca di orchestra ed il modesto palcoscenico di Weimar non avrebbero potuto accogliere così come inizialmente pensati); il successo fu decente- quattro repliche (ma la città aveva ed ha poca popolazione). Approdò infine a Londra, al Covent Garden, in una nuova edizione che non raccolse alcun successo, anche in quanto la camarilla del “partito italiano” si era organizzata per impedire, con fischi e proteste, questa incursione francese in un territorio che considerava loro riserva di caccia.
Berlioz vivente, venne ripresa solamente a Weimar nel 1856. Poche le riprese nell’Ottocento: in boemo a Praga, in tedesco a Berlino, Strasburgo, Vienna, Zurigo). Riappare in francese nel 1913 per l’inaugurazione del Théâtre de Champs-Elysées ma occorre aspettare sino agli Anni Sessanta perché ricominci a circolare, spesso in versione da concerto. In Italia si contano soltanto tre edizioni sceniche: alla Scala nel 1976 (importata da Covent Garden), a Firenze nel 1987 ed a Roma nel 1995.
Quali le barriere? In primo luogo, la scelta dell’edizione da mettere in scena: solo di recente, a cura dell’editore Bärenreiter si dispone di un’edizione critica della versione che venne rappresentata a Parigi nel 1838 (la più vicina alle intenzioni di Berlioz). In secondo luogo, le difficoltà musicali: un organico orchestrale vastissimo, numerosi solisti, un coro con ruolo primario, danze e mimi. In terzo luogo, la complessità di una messa in scena in una Roma rinascimentale nei giorni tra il Carnevale ed il Mercoledì delle ceneri, declinata in luoghi noti come i Palazzi Apostolici, Piazza Colonna ed il Colosseo. Il canovaccio – si tenga presente – pare semplice. Nella Roma del Rinascimento (l’azione è spostata da Firenze dove venne commissionato e creato il Perseo, alla città papale), Benvenuto Cellini è genio e sregolatezza. Ambisce a sposare la figlia del tesoriere del Papa Clemente VII (che apprezza la sua arte) ma ha pessime frequentazioni nelle taverne della suburra e di Trastevere). Per legittima difesa, uccide il sicario di un rivale, Fieramosca (sia nella professione sia in amore). Condannato a morte, può essere graziato soltanto se termina il Perseo entro poche ore; gettando tutti i suoi lavori nella fornace della sua bottega al Colosseo, ottiene sia la grazia sia la sposa. E’ denso, però, di intrighi, personaggi secondari, colpi di scena. Nel terzo quadro del primo atto dell’edizione critica, ad esempio, si volgono contemporaneamente uno spettacolo di mimi (teatro nel teatro), una festa di piazza (con danze), una sommossa popolare contro la burocrazia papale, un doppio tentativo di rapimento, un duello (con un morto in palcoscenico). Non è certo facile gestire solisti e masse mentre l’orchestra è infuocata ed un doppio duetto scivola in un quartetto che si trasforma in un sestetto ed in un concertato. Le difficoltà sceniche e vocali imposero nel gennaio 1995 a Roma (regia: Gigi Proietti, scene e costumi: Quirino Conti) di dividere il lavoro in quattro atti, con tre intervalli. Rendendo la serata di proporzioni wagneriane :l’opera iniziava alle 19 e terminava dopo la mezzanotte.
Una messa in scena di “Cellini” è, dunque, un evento. Andiamo alla produzione (si segue l’edizione critica Bärenreiter della prima versione parigina) che ha debuttato a Salisburgo e si vedrà tra breve anche a San Pietroburgo e a Parigi (nonché forse a New York ed in Spagna). L’allestimento è stato creato per il tenore americano, Neil Shicoff- idolo dell’Opera di Vienna tanto che, suscitando non poche polemiche, il Cancelliere austriaco avrebbe voluto chiamarlo alla Sovrintendenza. Il tenore, però, si è ammalato ed è stato sostituito dal giovane, e valente, Burkhard Fritz; non è escluso che Shicoff appaia nelle riprese in un ruolo impervio che intende cantare da tempo. Naturalmente non sarebbe bastato Shicoff per allestire “Cellini”.
Regia e scene sono state affidate Philipp Stőlzl, noto soprattutto per i video-clips di Madonna e di Mick Jagger. Quindi, non c’è alcuna Roma rinascimentale di cartapesta come nel memorabile allestimento romano di Proietti-Conte ma siamo in un mondo tra la “Metropolis” di Fritz Lang e le fantasie disneyane dei tempi di “Biancavene e i sette nani”. Non manca un pizzico di Mago di Oz. Cellini viaggia in elicottero e Papa Clemente VII in coupé d’epoca violetta, accompagnato da prelati e guardie svizzere che si muovono come caricature dei “gay”. Il tesoriere dello Stato Pontificio è un ragioniere generale da operetta. Fieramosca un travet in mezze maniche. Ascanio, il braccio destro di Cellini, un robot che canta la grande aria “Mais qu’ ai-je donc” con la testa staccata dal resto del corpo. E via discorrendo.
L’appartamento del tesoriere ha un’enorme terrazza da cui si ammirano grattacieli, dischi volanti, aeromobili di vario tipo e fuochi d’artificio come se si fosse alla festa di Piedigrotta. Piazza Colonna (dove avviene la scena centrale del carnevale) sembra tratta da un film dell’espressionismo tedesco Anni 20; è attraversata da treni metropolitani a più livelli, mentre si svolge il teatro nel teatro, la sommossa, il duello e quant’altro. Il Colosseo è un enorme fucina postmoderna dove non mancano fuoco e scintille. Secondo alcuni critici, questo allestimento avrebbe estasiato Berlioz. Resto perplessi. Indubbiamente, viene accentuato il “comique” Ma c’è già tanta ironia in Berlioz e nei suoi librettisti (nei confronti del potere, della burocrazia e della stessa idea iper-romantica dell’eroismo) che le trovate di Stőlzl e dei suoi collaboratori non solo sono eccessive ma distolgono da un ironico che tanto più morde quanto più è delicato. In ogni caso, apprezzare l’ironia richiede comprendere il testo: i cantanti (scelti tra le migliori voci su piazza ma in gran misura del mondo tedesco o dell’Europa orientale) hanno serie difficoltà a fare capire il loro francese - anche i due francesi in ruoli principali (Laurent Naouri, Fieramosca, e Isabelle Cals, Ascanio. I sovrattitoli (in tedesco ed in inglese) sono strumento essenziale per capire l’azione in quanto pare che gli interpreti cantino in una lingua uralica (come il coreano).
Lo spettacolo (nonostante la dizione) è riscattato dagli aspetti musicali. Gergiev concerta in modo incalzante, senza mai rallentare la tensione, e tira fuori vero e proprio fuoco dai Wiener, rendendo credibile nel golfo mistico anche ciò che in scena suscita seri dubbi. Ottimo il coro guidato Andreas Schűller; in questo “Cellini” assume il vero ruolo di protagonista, specialmente nelle scene della taverna, del carnevale romano e nel grandioso finale. E’ un coro che non solo canta ma recita, mima e danza. Segno di una grande professionalità non solo di un evento speciale come la realizzazione scenica dell’opéra comique di Berlioz.
Nel programma iniziale, Burkhard Fritz avrebbe dovuto “coprire” Shicoff e cantare in una sola replica. E’ ancora giovane e si sta affermando adesso nei maggiori teatri di lingua tedesca (Amburgo, Vienna) dopo un lungo tirocinio in provincia. E’ una delle rivelazioni di questo Festival: impiega soprattutto il registro di centro spingendosi negli acuti quando richiesto dalla parte, ad esempio nei duetti con Teresa. Ha mostrato un paio di incertezze- peccati veniali data la difficoltà del ruolo e la fatica fisica che comporta (è quasi sempre in scena e canta quasi sempre o da solo o con altri). Teresa è la giovane lituana Maja Kovalevska, soprano lirico puro in grado di agilità (già nella romanza di apertura Ah! Que l’amour une fois dans le couer) ; ascende molto bene, qualche inciampo nel discendere. E’ una delle prime volte che si deve cimentare in francese.
Altra rivelazione Isabelle Calls, un mezzosoprano chiamato come “cover” ed in scena soltanto alla recita del 26 agosto a cui ho assistito. Nonostante le bislacche richieste della regia, ha superato tutti i trabocchetti di Mais qu’ ai-je donc. Dovrebbe essere presa in considerazione per i difficili ruoli rossiniani e donizettiani di cui c’è richiesta ma poca offerta. Laurent Naouri e Brindley Sherratt sono dei veterani; il Festival scommetteva sul sicuro nell’affidare loro i ruoli di Fieramosca e di Calducci. Ancora giovane Mikhail Petrenko ; mi ha lasciato un’ottima impressione in ruoli wagneriani (soprattutto Hunding, a Aix; lo riprenderà a Salisburgo al Festival di Paqua). E’ un Papa Clemente VII misurato nel gesto ed in grado da giungere ai gravi richiesti dal ruolo. E’ più che una promessa.
LA LOCANDINA
Regia e scene Philipp Stőlzl
Costumi Kathi Maurer
Luci ………………………………….Duane Schuler
Video ……………………………… Stefan Kessner, Max Stolzenberg
Coreografia………………………….Mara Kurtschka
Benvenuto Cellini…………………….Burkhard Fritz
Fieramosca Laurent Naouri
Giacomo Balducci…………………….Brindley Sherratt
Papa Clemente VII Mikhail Petrenko
Teresa………………………………….Maija Kovaleska
Ascanio……………………………… Isabelle Cals
Francesco………………………………Xavier Mas
Bernardino……………………………..Roberto Tagliavini
Sung-Keun Park……………………….Oste
Adam Plascheta………………………..Pompeo
Ballerini : Gabrio Gabriel, Francesco Pedone, Marie Seeger, Tobias Wozniak
Mimi: Silke Adolfo, Andy Arndt, Thomas Dűrrefort
Direzione Musicale: Valery Gergiev
Wiener Philarmoniker
Coro della Staatsoper diretto da Andreas Schűller
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