Perché voterò No al referendum
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L'opinione
di Giuseppe Pennisi nell'ambito del dibattito a più voci avviato su
Formiche.net
Formiche.net ha preso l’iniziativa di
incoraggiare i suoi collaboratori a fare “outing” ed a indicare come e perché voteranno
al referendum. Tenterò di spiegare le ragioni del mio “no” nel modo più chiaro
e più sintetico possibile.
Una
precisazione iniziale. Non credo che il combinato disposto della legge
elettorale e della proposta riforma della Costituzione, pur esprimendo una
vocazione autoritaria, possano incidere sulla democrazia matura dell’Italia.
Se, come ipotizzabile, un partito con il 25% dei voti avrà il 51% dei saggi, da
un lato, sarà lacerato da divisioni interne (come avviene oggi con il Pd) e, da
un altro, avrà a che fare con l’opposizione della società civile. Riuscirà a
sopravvivere barcamenandosi ma non ad realizzare quelle profonde riforme
economiche di cui ha bisogno l’Italia. Tali riforme richiedono convergenza
politica, prima che marchingegni elettorali, e forti e radicate maggioranze.
Non per nulla, le grandi coalizioni della Germania sono quelle che hanno
trasformato il “grande malato” dell’Europa degli Anni Novanta sul vero motore
del Vecchio Continente.
Il mio “no”
ha tre motivazioni di fondo: a) la scarsa chiarezza degli obiettivi; b) la
inconsueta procedura che ha portato al testo; c) la confusione dell’articolato.
Non è chiaro
se si vuole accelerare il processo legislativo o ridurre i costi della
politica. Accelerare il processo legislativo non è obiettivo saggio in un Paese
con 150.000 leggi; sarebbe preferibile una politica legislativa basata su testi
unici, prima di imbarcarsi in nuove norme. I testi unici rendono auspicabile il
bicameralismo al fine di evitare errori, quali i circa 180 trovati nel recente
nuovo codice per gli appalti. Ciò è compatibile con una riduzione di costi; per
un Paese delle dimensioni dell’Italia 100 senatori e 200 deputati
sono più che sufficienti, sempre che si impegnino effettivamente nei compiti a
cui sono stati eletti ed abbiano, o sviluppino, le competenze professionali per
farlo. Una modifica dei regolamenti parlamentari può coniugare rigore e
velocità.
Una riforma
complessiva, come quella proposta, richiede un’assemblea di un centinaio di
costituenti eletta in modo proporzionale con un mandato breve (non più di due
anni) per produrre un testo ampiamente condiviso dalle forze politiche e
sociali e dalla società civile. Altrimenti si produce un testo divisivo come
l’attuale che, pur fingendo di non cambiare la forma di governo, scivola dalla
democrazia parlamentare al Cancellierato, e riduce la funzione degli organi di
garanzia, eletti di un’Assemblea in gran misura nominata da segretari di
partiti (per i quali in oltre 70 anni non si è mai trovato il modo di regolare
il funzionamento, come richiesto dalla Costituzione, con una misura
legislativa).
Numerose
parti del testo non solo non sono condivisibile (quali il proposto assetto del
nuovo Senato) o causeranno vertenze annose presso la Corte Costituzionale (le
complesse materie i cui vengono affidate competenze ad un Senato che si riunirà
una volta la settimana e che in molti casi cozzano con funzioni affidate alle
Regioni).
Il
Presidente del Consiglio, nella convinzione di essere già un Cancelliere
destinato a governato l’Italia per dieci anni, ha personalizzato il referendum
ed i suoi portavoce fanno balenare forte instabilità politica (con conseguenti
ricadute finanziarie ed economiche) in caso di vittoria nel “no”. Credo che i
mercati abbiano già metabolizzato il probabile successo del “no”. L’instabilità
politica e finanziaria ci sarà se vincerà il “sì” di misura perché il Paese
apparirà a tutti profondamente diviso sulla sua Carta Fondamentale. Ciò potrà
innescare un lungo periodo di caos.
eriodo di caos.
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