giovedì 4 agosto 2016

L’elogio della povertà di un inusuale Richard Strauss in Avvenire 6 agosto





L’elogio della povertà di un inusuale Richard Strauss
GIUSEPPE PENNISI
SALISBURGO
Pochi sanno che la penultima opera di Richard Strauss ha, tra i suoi temi principali, l’elogio della povertà, unica condizione in cui si può dare e ricevere vero amore. L’altro tema, insolito per Strauss noto per scandagliare la psicologia femminile, è l’invecchiamento dell’uomo, con conseguente perdita e di potere e di capacità di seduzione nei confronti delle donne. È la rara Die Liebe Der Danae (L’amore di Danae), sottotitolata “mitologia allegra in tre atti”, poco rappresentata allo stesso Festival di Salisburgo che la commissionò, ma non riuscì a metterla in scena per la piega presa (nel luglio 1944) dalla seconda guerra mondiale. Da allora a Salisburgo si è vista solo due volte, nel 1952 e nel 1980. Quindi il 31 luglio è stata quasi una prima assoluta.
Non credo che sia stata mai messa in scena in Italia poiché richiede un organico orchestrale enorme, un numero impressionante di solisti (tra cui due tenori “eroici” di standard wagneriano, un tenore lirico quasi donizettiano, un soprano in grado di essere protagonista del Der Rosenkavalier, ed un mezzosoprano di grande livello), nonché coro, corpo di ballo, mimi e frequenti cambiamenti di scena.
Strauss completò l’opera quando era alle soglie dei 75 anni, ma vi aveva lavorato per tre lustri con tre librettisti: Hugo von Hoffmannsthal (autore del progetto, morto d’infarto quando l’opera stava prendendo forma), Stefan Zweig (ebreo e morto in esilio quando si avvicinava “la soluzione finale”) e Joseph Gregor. Il complicato intreccio è solo apparentemente mitologico in quanto tratto dalla letteratura greca e latina. Al centro vi è una fanciulla, figlia di un re spiantato; la ragazza adora la ricchezza e quindi l’oro. Per sedurla Giove trasforma, temporaneamente, un povero pastore in Mida. Ma la ragazza si innamora davvero di questo Mida e gli giura fedeltà anche quando sarà tornato pastore. Nell’ultimo atto, la coppia vive felice in povertà, mentre Giove mestamente comprende di essere sempre più anziano e di contare sempre meno.
Il libretto e la partitura hanno momenti scintillanti, ma sottotraccia la ricca scrittura orchestrale e vocale di Strauss (c’è tra l’altro un meraviglioso quanto inconsueto duetto tra due tenori “eroici”) fa avvertire il dramma di Giove (in “Re” maggiore) contrapponendolo al “Mi” maggiore della povertà felice di Danae e Mida tornato pastore.
Come altre opere “mitologiche” di Strauss non ha senso ambientarle nella cartapesta dei film storici di Cinecittà; rispecchiano, infatti, la società in cui vennero concepite. La regia e le scene di Alvis Hernanis e della sua équipe situano l’opera in un opulenta India di fantasia (ma con profonde sacche di povertà) come potrebbe essere stata dipinta ai tempi del nouveau e del Jugenstill. Una scelta discutibile ma plausibile.
Eccezionali gli aspetti musicali. Franz Welser-Möst, alla guida dei Weiner Philharmorniker ha reso la struggente bellezza della partitura, in equilibrio tra ironia e melanconia. Delle grandissime voci, doveroso ricordare almeno Tomasz Konieczny, Krassimira Stoyanova, Gerhard Siegel e Regine Hangler.
Non credo che questo allestimento di Die Liebe Der Danae arriverà in teatro Italiano. Spero che un buon Dvd faccia scoprire uno Strauss diverso dal solito a chi non può recarsi a Salisburgo.
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In scena al Festival della città austriaca “L’amore di Danae”, la penultima opera del compositore tedesco Così poco rappresentata, ha il valore di una prima L’adattamento di Hernanis
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“L’amore di Danae”
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