L’elogio della
povertà di un inusuale Richard Strauss
GIUSEPPE
PENNISI
SALISBURGO
Pochi sanno che
la penultima opera di Richard Strauss ha, tra i suoi temi principali, l’elogio
della povertà, unica condizione in cui si può dare e ricevere vero amore.
L’altro tema, insolito per Strauss noto per scandagliare la psicologia
femminile, è l’invecchiamento dell’uomo, con conseguente perdita e di potere e
di capacità di seduzione nei confronti delle donne. È la rara Die Liebe Der
Danae (L’amore di Danae), sottotitolata “mitologia allegra in tre atti”,
poco rappresentata allo stesso Festival di Salisburgo che la commissionò, ma
non riuscì a metterla in scena per la piega presa (nel luglio 1944) dalla
seconda guerra mondiale. Da allora a Salisburgo si è vista solo due volte, nel
1952 e nel 1980. Quindi il 31 luglio è stata quasi una prima assoluta.
Non credo che
sia stata mai messa in scena in Italia poiché richiede un organico orchestrale
enorme, un numero impressionante di solisti (tra cui due tenori “eroici” di
standard wagneriano, un tenore lirico quasi donizettiano, un soprano in grado
di essere protagonista del Der Rosenkavalier, ed un mezzosoprano di
grande livello), nonché coro, corpo di ballo, mimi e frequenti cambiamenti di
scena.
Strauss
completò l’opera quando era alle soglie dei 75 anni, ma vi aveva lavorato per
tre lustri con tre librettisti: Hugo von Hoffmannsthal (autore del progetto,
morto d’infarto quando l’opera stava prendendo forma), Stefan Zweig (ebreo e
morto in esilio quando si avvicinava “la soluzione finale”) e Joseph Gregor. Il
complicato intreccio è solo apparentemente mitologico in quanto tratto dalla
letteratura greca e latina. Al centro vi è una fanciulla, figlia di un re
spiantato; la ragazza adora la ricchezza e quindi l’oro. Per sedurla Giove
trasforma, temporaneamente, un povero pastore in Mida. Ma la ragazza si innamora
davvero di questo Mida e gli giura fedeltà anche quando sarà tornato pastore.
Nell’ultimo atto, la coppia vive felice in povertà, mentre Giove mestamente
comprende di essere sempre più anziano e di contare sempre meno.
Il libretto e
la partitura hanno momenti scintillanti, ma sottotraccia la ricca scrittura
orchestrale e vocale di Strauss (c’è tra l’altro un meraviglioso quanto
inconsueto duetto tra due tenori “eroici”) fa avvertire il dramma di Giove (in
“Re” maggiore) contrapponendolo al “Mi” maggiore della povertà felice di Danae
e Mida tornato pastore.
Come altre
opere “mitologiche” di Strauss non ha senso ambientarle nella cartapesta dei
film storici di Cinecittà; rispecchiano, infatti, la società in cui vennero
concepite. La regia e le scene di Alvis Hernanis e della sua équipe situano
l’opera in un opulenta India di fantasia (ma con profonde sacche di povertà)
come potrebbe essere stata dipinta ai tempi del nouveau e del Jugenstill.
Una scelta discutibile ma plausibile.
Eccezionali gli
aspetti musicali. Franz Welser-Möst, alla guida dei Weiner Philharmorniker ha
reso la struggente bellezza della partitura, in equilibrio tra ironia e
melanconia. Delle grandissime voci, doveroso ricordare almeno Tomasz Konieczny,
Krassimira Stoyanova, Gerhard Siegel e Regine Hangler.
Non credo che
questo allestimento di Die Liebe Der Danae arriverà in teatro Italiano.
Spero che un buon Dvd faccia scoprire uno Strauss diverso dal solito a chi non
può recarsi a Salisburgo.
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In scena al
Festival della città austriaca “L’amore di Danae”, la penultima opera del
compositore tedesco Così poco rappresentata, ha il valore di una prima
L’adattamento di Hernanis
“L’amore di
Danae”
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