sabato 20 agosto 2016

Consigli non richiesti per una rinnovata politica per l’innovazione industriale in Formiche 21 agosto



Consigli non richiesti per una rinnovata politica per l’innovazione industriale

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Consigli non richiesti per una rinnovata politica per l’innovazione industriale
Nel 1976, l’attuale giudice costituzionale Giuliano Amato curò, per Il Mulino, un libro collettaneo intitolato Il Governo dell’Industria in Italia. Il volume di circa 400 pagine ed ancora acquistabile tramite Amazon.com rispecchiava in gran misura la sua esperienza come capo dell’ufficio legislativo dell’allora Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica (successivamente incorporato nel Ministero dell’Economia e delle Finanze) e degli organi collegiali di governo della programmazione (CIPE) ed in particolare della politica industriale (CIPI). Il libro era molto critico dell’intervento pubblico nell’industria: lo definiva ‘impiccione’ e ‘pasticcione’, e propenso più tenere in vita imprese decotte che a stimolare ricerca ed innovazione.
In quaranta anni, la situazione non è molto cambiata, almeno a giudicare dall’analisi (basata su papers del Center for Economic Policy Research) pubblicata sul New York Times del 20 agosto sul quadro attuale e su come la mancanza di una politica per l’innovazione industriale è anche alla base del pasticciaccio brutto del sistema bancario italiano.
Ciò nonostante, di politica per l’innovazione industriale quasi non si parla. Se ben ricordo l’ultimo documento pubblicato dal dicastero di Via Molise (ora Ministero dello Sviluppo Economico) risale al testo curato dal compianto Mino Cafferena ai tempi del Governo Craxi.
Non se Amato è mai tornato in maniera organica sull’argomento. Come sottolineato su questa testata il 19 agosto, da sola il tentativo di rilancio delle infrastrutture non basterà a fare uscire dalla palude l’economia italiana. E’ necessaria una politica per l’innovazione industriale, quanto siamo un Paese manifatturiero e dobbiamo competere in mercato internazionale sempre più aggressivo.
Il libro che Amato avrebbe voluto scrivere ma non ha scritto è stato, invece prodotto da Salvatore Zecchini nella Biblioteca del Centro Studi Impresa Lavoro: La Politica per l’Innovazione in Italia: Criticità e Confronti, disponibile sia in versione cartacea che in ebook presso Amazon.com. Zecchini è Presidente del Comitato Piccole e Medie Imprese dell’Ocse ed in passato ha avuto vari incarichi sia nazionali (direttore centrale della Banca d’Italia) sia internazionale (Vice Segretario Generale Ocse, direttore esecutivo del Fondo monetario).
Il libro dimostra che malgrado i numerosi sostegni introdotti, negli ultimi anni, dai Governi italiani per accrescere ricerca ed innovazione, il nostro Paese non è riuscito a ridurre il divario che lo separa dalle economie più innovative dell’Unione Europea. Al tempo stesso, l’attività di innovazione, particolarmente tra le piccole e medie imprese, non è riuscita a svolgere quella funzione di motore dello sviluppo economico che si auspicava sia negli anni della recessione economica, sia negli anni pre-crisi. Il volume esamina l’insieme degli interventi messi in atto dai Governi italiani, confrontandoli, da un lato con la realtà del fare innovazione in Italia, e dall’altro lato con le politiche e strategie disegnate ed attuate dai Paesi di maggior successo nella ricerca ed innovazione. Si tratta di un lavoro essenziale per individuare le pecche nel sistema italiano provare a correggerle, traendo indicazioni da misure attuate all’estero e riadattabili al nostro caso.
Lo studio condensa in una visione d’insieme una miriade di misure e strumenti che sono stati impiegati da diversi ministeri ed autorità sul territorio italiano, e disseminati in innumerevoli provvedimenti ad iniziare dagli ultimi anni del primo decennio. Nelle conclusioni, infine, si formula un insieme di proposte per il miglioramento della politica italiana sul tema, auspicando un maggiore coordinamento  tra le diverse componenti del Governo nella programmazione di obiettivi e strumenti, in congiunzione con l’incremento della quota di PIL destinata a R&I. L’aumento delle risorse non sarebbe però sufficiente  senza un profondo cambiamento della cultura sociale in tutte le sue articolazioni per renderla ben disposta al cambiamento, all’innovazione e alla competizione.
E’ un testo che dovrebbe essere meditato non solo a Palazzo Chigi ed a Via Molise ma anche a Viale dell’Astronomia.

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