L’analisi.
Il rilancio
infrastrutturale rilancia l’economia
GIUSEPPE
PENNISI
I1 Governo
ha risposto ai dati economici negativi degli ultimi giorni varando un piano
straordinario di investimenti pubblici, in gergo un macroprogramma tematico e
territoriale. È un programma ambizioso, affidato ad una 'cabina di regia' (di
cui farà parte la Ragioneria generale dello Stato al fine d’assicurare che non
ci saranno ritardi dovuto a problemi di cassa - ossia di trasferimenti dal
Tesoro agli enti appaltanti, in primo luogo il Ministero delle Infrastrutture
nelle sue diramazioni sul territorio). Il piano si articolerà in dieci comparti
che probabilmente includeranno progetti nuovi ed anche numerosi già in
esecuzione). È, infatti, caratteristica delle economie mature l’esigenza non
tanto d’infrastrutture nuove di zecca quanto di manutenzione straordinaria, di
ammodernamenti, di completamenti e di ampliamenti. Le infrastrutture (vale la
pena ricordarlo) hanno effetti distinti nel breve e nel medio e lungo periodo.
Nella 'fase di cantiere' contribuiscono ad una migliore utilizzazione della
capacità produttiva, in questi anni in Italia principalmente del fattore
lavoro. Una volta completate, l’incremento di capitale fisso sociale genera,
durante la loro vita economica, un aumento dellaproduttività (che in Italia
ristagna da circa quindici anni). Non è certo un caso che la riduzione, prima,
e la stagnazione, poi, della produttività si sia verificato nel periodo in cui
l’investimento in infrastrutture scendeva dal 3,5% del Pii (in linea con le
altre economie mature) negli Anni Ottanta all’1% circa di questi ultimi
esercizi finanziari.
Ci sono alte
aspettative sul contributo che potrà dare il programma. Tuttavia, occorre non
solo che i progetti siano effettivamente cantierabili nel brevissimo periodo,
ossia che dispongano di tutte le specifiche tecniche (tra cui computi metrici
dettagliati) perché i cantieri possano essere aperti e i lavori di
realizzazione possano andare avanti. Altrimenti, rischiano di finire in un
cassetto e di restarci a lungo. A riguardo, un’indicazione preoccupante è che
meno di un terzo del fondo per la progettazione stabilito oltre quindici anni
fa è stato utilizzato. È comprensibile che negli anni in cui si riducevano gli
investimenti pubblici, sia diminuita anche l’attività di progettazione, ma c’è
il pericolo che i progetti 'pronti' non costituiscano una platea
sufficientemente vasta da cui selezionare i migliori, facendo ricorso alle più
avanzate tecniche di valutazione e di scelta degli investimenti.
Inoltre è in
vigore da alcuni mesiUn decreto legislativo 50/2016, ossia 'il Nuovo Codice
Appalti', un dispositivo che tutti gli interessati devono studiare (università
pubbliche e private stanno iniziando corsi specifici in materia) e
metabolizzare. Ciò comporterà necessariamente ritardi, almeno iniziali,
nell’attuazione del programma. L’impulso alla crescita, dunque, non sarà
rapido. Nel varare il 'New deal' per uscire dalla 'grande depressione',
Roosevelt non solo aveva a disposizione risorse molto più ingenti ma derogò
alle normative sugli appalti, affidandone buona parte in force account ('in
economia') al Genio civile e militare. Oggi un’operazione del genere (ammesso
che sia concepibile) ci porterebbe fuori non solo dall’Ue ma anche dall’Ocse e
dall’Organizzazione mondiale del commercio.
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L’ambizioso programma varato nei
giorni scorsi dal Governo deve però far leva sull’immediata cantierabilità per
non vanificare l’obiettivo
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