OLIMPIADI
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L’analisi
Molti studi
confermano che organizzare i Giochi può essere rischioso sotto il profilo
economico Ma gli antidoti per evitare il crac ci sono
GIUSEPPE
PENNISI
Il “New York
Times” del primo agosto ha salutato l’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro
con un lungo editoriale in cui si chiedeva perché città e Stati corteggiano
così ardentemente le difficoltà organizzative, i costi e i rischi di sicurezza
che comporta ospitare i Giochi.
Uno sguardo
veloce agli ultimi decenni giustifica l’interrogativo. Ci sono voluti
trent’anni perché Montreal saldasse gli impegni finanziari contratti per le
Olimpiadi del 1976; in quel lasso di tempo lo stadio costruito per l’occasione
ha preso il nomignolo di The Big Owe (il Grande Debito), che, peraltro,
mantiene ancora nel gergo colloquiale degli abitanti della capitale del Quebec.
Gran parte
delle infrastrutture per i Giochi di Atene (considerati, in un pregevole saggio
di quattro economisti greci, come la goccia che ha fatto traboccare il vaso e
innescato la crisi degli ultimi anni) sono rimaste inutilizzate sino a pochi
mesi fa quando l’ormai decrepito villaggio olimpico, considerato dallo
scrittore Dove Barbanel «un cumulo di rovine», è stato adibito ad alloggio
temporaneo per circa 3.000 migranti (i quali protestano per le condizioni di
degrado). È presto per un bilancio finanziario dei Giochi di Rio; tuttavia, il
Presidente dello Stato ha indicato la possibilità di un “fallimento tecnico”:
ciò implicherebbe che i lavoratori sarebbero pagati e alcuni servizi essenziali
resterebbero in funzione, ma alle imprese coinvolte nei Giochi verrebbero
offerti concordati (con uno sconto del 70%-80% rispetto a quanto pattuito
inizialmente).
Forse è
errato guardare alle Olimpiadi solamente con il metro dell’analisi costi
benefici, ma ci sono Stati e Città che devono utilizzarlo in questo modo poiché
hanno i conti in difficoltà e servizi pubblici inadeguati. Ci sono stati Giochi
i cui benefici sono difficilmente quantificabili. Ad esempio, quelli di Roma
nel 1960 furono uno segni del “miracolo economico” (che si afflosciò pochi anni
dopo) e consentirono all’Italia di entrare in quello che allora veniva chiamato
il consesso delle grandi potenze. Le Olimpiadi di Soci del 2014 (che costarono
alla Federazione Russa 51 miliardi di dollari) e quelle di Pechino del 2008 (di
cui non è stato mai rivelato il costo fi- nanziario) ebbero una funzione
analoga: un diploma di maturità o di laurea di valore internazionale (anche se
i Giochi invernali di Soci mostrarono molte ombre e non fecero necessariamente
brillante l’immagine di Putin all’estero). C’è una vasta letteratura, di cui
alcuni testi sono stati ricordati su “Avvenire” del 9 agosto, per indurre a
ritenere che sotto il profilo economico e finanziario, ospitare i Giochi sia
una perdita netta per la città e lo Stato che decidono di farlo. Basta scorrere
il Social Science Research Network (la più vasta biblioteca telematica di
economia e finanza) per leggere circa 400 saggi su questo argomento. La
conclusione generale è che, in termini economico-finanziari, la spesa non vale
l’impresa e che i comitati che promuovano questa o quella città operino tramite
fund raising senza alcun sussidio pubblico. Il
fund raising, però, si scontra con un aspetto poco noto e non certo
incoraggiante: le perdite subite da coloro che ottenendo commesse e contratti
per i Giochi (costruzioni di impianti, concessioni per esercizi commerciali e
simili) finiscono per uscirne spellati. Uno studio recente (pubblicato il 26
giugno scorso) di due economisti dell’università di Berkeley in California
(Patricia Dechow e Alastair Lawrence) e di uno dell’Università Tsinghua di
Pechino (Mei Lung), esaminano l’andamento delle quotazioni azionarie delle
imprese “olimpiche” (costruzioni, aziende di articoli sportivi, imprese di
servizi collegati ai giochi) nei sette anni dall’annuncio di dove si terranno
le Olimpiadi e la conclusione dei Giochi. Studiano in particolare i “mercati”
per le Olimpiadi in Cina nel 2008 e a Londra nel 2012. In ambedue i casi i
titoli azionari hanno avuto un’impennata all’annuncio: una olympic euphoria
di breve durata, seguita prima da normalizzazione e poi dalla caduta dei corsi.
Un’analisi analoga, condotta da Christian David Dick del Centro di ricerca
economica europea Zew e da Qingwei Wang della Università di Cardiff analizza 15
Olimpiadi e giungono a conclusioni simili: un balzo “anormale”, mediamente di
due punti percentuali, nelle due settimane dopo l’annuncio seguito da un
abbassamento.
La
determinante principale, afferma l’Oxford Olympic Study 2016 (nell’università
del Regno Unito esiste un osservatorio permanente sull’economia e la finanza
ddi Giochi) è che mediamente nelle Olimpiadi degli ultimi lustri i costi
effettivi sono stati il 156% di quelli preventivati, mandando a gambe all’arie
tutte la analisi di fattibilità fatte nella fase di aggiudicazione dei Giochi
(uno dei risultati è, come si è accennato, che le imprese coinvolte hanno
spesso dovuto patteggiare sconti). Lo studio fornisce dati dettagliati per le
varie Olimpiadi. Propone severi sistemi di monitoraggio per contenere e
monitorare i costi, nonché “azioni di responsabilità” nei confronti di manager
che, direttamente o indirettamente, consentono il superamento dei preventivi.
C’è un
aspetto economico positivo, che interessa principalmente Paesi con bilancia
commerciale strutturalmente in passivo (quella italiana è in buon e solido
attivo). Lo hanno sottolineato Andrea Rose di Berkeley e Mark Spiegel della
Federal Reserve Bank di San Francisco nel 2009 nel saggio The Olympic
Effect: utilizzando una vasta gamma di modelli di politica commerciale e un
ampio campione di Olimpiadi, concludono che i giochi hanno un impatto positivo
«statisticamente robusto» sull’export nazionale, da attribuirsi però non tanto
all’evento quando «al segnale di apertura al commercio internazionale che il
Paese invia quando si candidata». È stato uno dei benefici delle Olimpiadi di
Roma del 1960.
In breve, la
letteratura economica ci dice che le Olimpiadi comportano perdite finanziarie
per gli Stati e le Città che le ospitano, pur se avvantaggiano l’export. Se si
decide di ospitarle, occorre esserne consapevoli, finanziarle unicamente con
risorse di sponsor e mettere in atto un rigoroso sistema di monitoraggio e
valutazione in itinere.
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SILENZIO. Lo stadio degli sport acquatici di
Rio de Janeiro, una delle strutture costruite per le Olimpiadi
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