FINANZA E POLITICA/ Così il
terremoto cambia i piani del Governo
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lunedì 29 agosto 2016
LaPresse
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È ancora fin
troppo presto per effettuare una stima di perdite umane, di capitale fisso
sociale, di beni culturali causati dal terremoto che, con epicentro nei pressi
di Amatrice, ha devastato una vasta area dell'Italia Centrale. Anche questa
volta, il Governo in carica si è mosso speditamente destinando 50 miliardi di
euro ai primi aiuti di emergenza. La Protezione civile, le forze dell'ordine, l'esercito
e centinaia di volontari si stanno prodigando per fornire assistenza dove i
bisogni sono immensi.
Non so,
però, quanto si sia riflettuto su come il terremoto comporti un drastico
ripensamento della politica economica. Schematizzando, la strategia sinora è
stata quella di agevolare una graduale ripresa ottenendo flessibilità nella
gestione del bilancio dall'Unione europea e di lanciare un programma
d'investimenti pubblici. Per flessibilità si intende un ulteriore rinvio
all'equilibrio strutturale di bilancio, che in base al Fiscal compact e
alla legge costituzionale rinforzata di attuazione dell'art. 81 della
Costituzione, avremmo dovuto raggiungere nel 2014, nonché di proseguire nella
strada di riduzione dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni
(il deficit annuale) concordata con la Commissione europea. Per rilancio
dell'investimento pubblico (ormai ridotto all'1% del Pil rispetto al 3,5% degli
anni Ottanta e al 2,5% degli anni Novanta) si intende, principalmente,
raggruppare in un numero limitato di comparti, una decina, progetti incompleti
che in gran parte erano inclusi nella legge obiettivo di quindici anni fa. Si
era anche parlato di un rilancio delle misure per l'innovazione industriale, ma
non ci sono stati né documenti, né comunicati.
A fronte
delle nuove esigenze, tale politica economica, che secondo i "gufi"
avrebbe permesso qualche regalino della legge di bilancio già in confezione,
non pare affatto adeguata e va ripensata da cima a fondo. In primo luogo,
inutile insistere sulla flessibilità: tanto il Trattato di Maastricht,
quanto il Fiscal compact e la legge costituzionale rinforzata relativa all'art.
81 della Costituzione prevedono deroghe ai parametri sulla finanza pubblica e
allo stesso equilibrio strutturale di bilancio. Il vincolo, però, non è
giuridico ma economico-finanziario: saremmo dovuti entrare nell'unione
monetaria con un rapporto debito Pil del 60%; grazie al cosiddetto
"emendamento Carli" (dal nome del ministro del Tesoro che negoziò il
Trattato di Maastricht) la condizione venne mutata in un rapporto tendente al
60% del Pil come si sperava fosse fattibile quando, entrando nell'unione
monetaria, il parametro superava di poco il 100%. Ora il debito è quasi pari al
135% del Pil e un aumento del deficit non può che aumentarlo se la crescita del
Prodotto interno lordo resta rasoterra.
Alcuni
economisti hanno affermato che i lavori per la ricostruzione potranno essere
essi stessi un impulso alla crescita: si tratterà un impulso debole e che si
materializzerà tra qualche anno, mentre nel futuro prossimo le devastazioni
causate dal terremoto non potranno non causare una riduzione del prodotto e del
reddito nazionale. La deroga giuridica formale può essere estesa, ma il
problema è sostanziale. Da un lato, è all'orizzonte un aumento mondiale dei
tassi d'interesse (e, quindi, del costo del servizio del debito). Da un altro,
dato che la metà circa del nostro debito è in mani straniere, sino a quando
continueranno a darci fiducia e sino a quando gli stessi italiani compreranno
titoli di Stato del nostro Paese e non di altri in condizioni finanziarie
migliori?
Inoltre, pur
sostenendo, come fatto più volte da questa testata, l'esigenza di un rilancio
dell'investimento pubblico, è veramente il caso di puntare sugli
"scampoli" della legge obiettivo o occorrerebbe ripensarne i
contenuti: ad esempio, meno grandi opere e più difesa del suolo, manutenzione
straordinaria, messa in sicurezza di abitati a rischio? È il ministero delle
Infrastrutture in grado di riformulare i contenuti delle misure
sull'investimento pubblico? Non sarebbe il caso di coinvolgere i corpi
intermedi, ancora rappresentati in quel Cnel che si vuole sopprimere?
Sono
interrogativi a cui è urgente dare una risposta.
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