Quest’anno la Legge di stabilità,
che ha sostituito la quella finanziaria
ma ha avuto vita relativamente
breve, sparisce e viene assorbita
dalle Leggi di bilancio. Un ottimo
fascicolo tecnico predisposto dai
servizi di bilancio della Camera e
del Senato illustrano gli aspetti
tecnico-contabili del cambiamento.
Da un lato, il cambiamento amplia
la flessibilità del bilancio in fase
sia di formazione sia di esecuzione
dello stesso. In particolare, introducendo
la tassonomia delle spese
rimodulabili e non rimodulabili,
prevede per le prime la possibilità
di variazione degli stanziamenti,
nell’ambito di limiti relativi alla
natura economica della spesa e
all’invarianza complessiva dei saldi.
Dall’altro, rende più rigorosa l’applicazione
di serie coperture delle
spese proposte nel documento.
Come tutti i cambiamenti, anche
questo comporta l’approfondimento
e l’apprendimento di nuove
procedure. Se – come ogni anno –
il negoziato tra le parti politiche (e
con le forze sociali) sui contenuti
del bilancio inizia in giugno, entra
nel vivo in luglio e, dopo una
pausa in agosto, diventa frenetico
in settembre, quest’anno, nella
premessa della trattativa, c’è il
risultato delle elezioni amministrative
e, nella prospettiva a breve
termine, c’è il referendum sulla
riforma istituzionale, in cui il presidente
del Consiglio è impegnato in
prima persona. Lasciamo da parte
l’esito delle elezioni amministrative
(già commentato ampliamente) e
soffermiamoci sulle date essenziali.
Il disegno di legge di bilancio
deve essere varato dal Consiglio
dei ministri entro il 30 settembre
e presentato alle camere. In
occasione delle celebrazioni dei
settant’anni dalla nascita della
Repubblica, il presidente del Consiglio
Matteo Renzi ha anticipato
che il referendum si terrà il 2
ottobre, san Francesco Patrono
d’Italia. L’accavallarsi (quasi) di
disegno di Legge di bilancio e di
una riforma istituzionale su cui il
governo ha impegnato il proprio
futuro ha implicazioni che meritano
delle riflessioni.
Da un canto, il disegno di Legge
di bilancio è l’occasione – forse la
sola – per il governo di accontentare
aspettative, anche le più legittime,
di un elettorato – sempre più
anziano – e di far prospettare che
ciò avverrà tramite emendamenti –
supportati dall’esecutivo – durante
l’iter parlamentare. Da un altro, il
maggior rigore nella copertura delle
spese (e la situazione di finanza
pubblica e del debito pubblico
del Paese) rendono tutto ciò più
difficile che nel passato. Inoltre,
in un contesto in cui la crescita
economica non prende vigore e la
disoccupazione non flette, scontentare
le attese che l’elettorato
ritiene legittime può avere effetti
molto significativi quando gli stessi
elettori andranno a votare a un
referendum che ha comunque
assunto colori plebiscitari.
Non è un caso che in giugno siano
state riprese trattative sul riassetto
delle pensioni e si è ventilato un
programma di rilancio delle infrastrutture
tale da includere pure
il ponte sullo stretto di Messina.
Due temi a cui parti differenti – e
anche divergenti – dell’elettorato
sono molto sensibili.
L’anno scorso la Legge di stabilità
è stata presentata all’insegna di
una forte richiesta di flessibilità
alle autorità europee. Questo
sarà molto più difficile. Tra l’altro,
lo spiega bene il lavoro di Paul
De Grauwe e Yuemei Ji Flexibility
versus stability: a difficult trade-off
in the eurozone (Ceps working
paper No 422, 2016), non solo
per quanto detto a maggio dalla
Commissione europea, ma perché
la flessibilità di un Paese altamente
indebitato rischia di mettere
a repentaglio l’intera costruzione
dell’area dell’euro.
Parimenti, in una fase in cui pare
si scivoli in recessione, un rilancio
degli investimenti pubblici è senza
dubbio necessario, purché vengano
scrutate con attenzione le
priorità relative, come ribadito nel
recente documento della Banca
mondiale (No 7674) Prioritizing
infrastructure investment. A framework
for government decision
making.
che ha sostituito la quella finanziaria
ma ha avuto vita relativamente
breve, sparisce e viene assorbita
dalle Leggi di bilancio. Un ottimo
fascicolo tecnico predisposto dai
servizi di bilancio della Camera e
del Senato illustrano gli aspetti
tecnico-contabili del cambiamento.
Da un lato, il cambiamento amplia
la flessibilità del bilancio in fase
sia di formazione sia di esecuzione
dello stesso. In particolare, introducendo
la tassonomia delle spese
rimodulabili e non rimodulabili,
prevede per le prime la possibilità
di variazione degli stanziamenti,
nell’ambito di limiti relativi alla
natura economica della spesa e
all’invarianza complessiva dei saldi.
Dall’altro, rende più rigorosa l’applicazione
di serie coperture delle
spese proposte nel documento.
Come tutti i cambiamenti, anche
questo comporta l’approfondimento
e l’apprendimento di nuove
procedure. Se – come ogni anno –
il negoziato tra le parti politiche (e
con le forze sociali) sui contenuti
del bilancio inizia in giugno, entra
nel vivo in luglio e, dopo una
pausa in agosto, diventa frenetico
in settembre, quest’anno, nella
premessa della trattativa, c’è il
risultato delle elezioni amministrative
e, nella prospettiva a breve
termine, c’è il referendum sulla
riforma istituzionale, in cui il presidente
del Consiglio è impegnato in
prima persona. Lasciamo da parte
l’esito delle elezioni amministrative
(già commentato ampliamente) e
soffermiamoci sulle date essenziali.
Il disegno di legge di bilancio
deve essere varato dal Consiglio
dei ministri entro il 30 settembre
e presentato alle camere. In
occasione delle celebrazioni dei
settant’anni dalla nascita della
Repubblica, il presidente del Consiglio
Matteo Renzi ha anticipato
che il referendum si terrà il 2
ottobre, san Francesco Patrono
d’Italia. L’accavallarsi (quasi) di
disegno di Legge di bilancio e di
una riforma istituzionale su cui il
governo ha impegnato il proprio
futuro ha implicazioni che meritano
delle riflessioni.
Da un canto, il disegno di Legge
di bilancio è l’occasione – forse la
sola – per il governo di accontentare
aspettative, anche le più legittime,
di un elettorato – sempre più
anziano – e di far prospettare che
ciò avverrà tramite emendamenti –
supportati dall’esecutivo – durante
l’iter parlamentare. Da un altro, il
maggior rigore nella copertura delle
spese (e la situazione di finanza
pubblica e del debito pubblico
del Paese) rendono tutto ciò più
difficile che nel passato. Inoltre,
in un contesto in cui la crescita
economica non prende vigore e la
disoccupazione non flette, scontentare
le attese che l’elettorato
ritiene legittime può avere effetti
molto significativi quando gli stessi
elettori andranno a votare a un
referendum che ha comunque
assunto colori plebiscitari.
Non è un caso che in giugno siano
state riprese trattative sul riassetto
delle pensioni e si è ventilato un
programma di rilancio delle infrastrutture
tale da includere pure
il ponte sullo stretto di Messina.
Due temi a cui parti differenti – e
anche divergenti – dell’elettorato
sono molto sensibili.
L’anno scorso la Legge di stabilità
è stata presentata all’insegna di
una forte richiesta di flessibilità
alle autorità europee. Questo
sarà molto più difficile. Tra l’altro,
lo spiega bene il lavoro di Paul
De Grauwe e Yuemei Ji Flexibility
versus stability: a difficult trade-off
in the eurozone (Ceps working
paper No 422, 2016), non solo
per quanto detto a maggio dalla
Commissione europea, ma perché
la flessibilità di un Paese altamente
indebitato rischia di mettere
a repentaglio l’intera costruzione
dell’area dell’euro.
Parimenti, in una fase in cui pare
si scivoli in recessione, un rilancio
degli investimenti pubblici è senza
dubbio necessario, purché vengano
scrutate con attenzione le
priorità relative, come ribadito nel
recente documento della Banca
mondiale (No 7674) Prioritizing
infrastructure investment. A framework
for government decision
making.
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