Matteo Renzi cambierà politica economica dopo i ballottaggi?
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Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Quando era in circolazione nelle sale (1960-61), Matteo Renzi
non era ancora nato. Ma lo erano numerosi commentatori della “lunga notte dei
ballottaggi”. Si tratta di un colossal italo francese di Abel
Gance Napoléon è Austerlitz , cui parteciparono i più noti
attori dell’epoca. Era una ricostruzione accurata di come, dopo la battaglia di
Austerlitz, tutti i “poteri forti” dell’epoca si inchinarono all’Imperatore dei
francesi. Tra tanta gloria, il suo ministro degli Affari Esteri Charles-Maurice
de Talleyrand-Périgord, un uomo che se ne intendeva, gli disse “Attenzione
mio Imperatore, Voi avete vinto in modo tale che alla prima battaglia che
perderete, sarete sconfitto anche alla guerra e per sempre”. L’episodio
è vero e ricordato da molto storici.Il Presidente del Consiglio ed il Presidente del PD dovrebbe riflettere su questa frase prima di presentarsi alla direzione del partito il 24 giugno. Nel comunicato ufficiale sui risultati dei ballottaggi, si è sottolineata la sconfitta senza attenuanti a Roma e a Torino ma messo in rilievo come in tante realtà, principalmente i piccoli comuni, il partito (e dove presente la coalizione di governo) abbiano tenuto relativamente bene. In interviste successive, Renzi ha attribuito alla “vecchia guardia” e alle sue manovre, la responsabilità dei risultati. Se continua su questa strada, il Segretario-Presidente del Consiglio va verso una débacle al referendum. Numerosi “poteri forti” che hanno assicurato la sua ascesa gli hanno voltato le spalle tra il 19 ed il 20 giugno. E già puntano su altri.
Pare che il Presidente del Consiglio non si renda conto che alla base del volta faccia dell’elettorato nelle grandi città ci sia una politica che ha dato la priorità a riforme istituzionali discusse e discutibili dirette a trasformare in Italia in un Cancellierato retto anche da una piccola percentuale di voti ed ha, invece, trascurato l’andamento dell’economia.
Non solo – come è noto – le riforme istituzionali sono, nel breve e medio periodo, un freno all’economia (occorre elaborare e metabolizzare le nuove regole, mentre i sostenitori delle vecchie si irrigidiscono) e, quindi, devono essere accompagnate da vitamine economiche, ma i dati obiettivi dell’Istat e dei maggiori istituti internazionali affermano che da quando Renzi è a Palazzo Chigi il disagio economico (disoccupazione, povertà, chiusura di aziende) si è acuito.
Nessuno si aspettava un nuovo miracolo economico ottenuto con una bacchetta magica. Nessuno si attendeva, però, che il Fondo monetario avvertisse che anche ove il contesto economico internazionale fosse favorevole le politiche economiche del Governo Renzi solo nel 2027 avrebbe riportato il Pil italiano al livello del 2007, ossia che il Governo Renzi avrebbe con due-tre anni a Palazzo Chigi coronato “un ventennio perduto”. Nessuno pensava che all’ultima tornata di previsioni, i venti maggiori istituti di analisi econometrica (tutti privati nessuno italiano) ponesse l’Italia second’ultima (seconda solo alla Grecia) in termini di andamento economico complessivo nell’eurozona.
Se vuole, il presidente del Consiglio può ancora evitare (mantenendo il paragone napoleonico) che la prossima battaglia sia “la rotta della Beresina”. Dovrebbe mettere in atto una pausa di riflessione sulla riforma istituzionale e sulla legge elettorale, e concentrare le forze sue proprie e della squadra di governo sulla ripresa dell’economia: drastica riduzione del cuneo fiscale e della spesa pubblica, rilancio della competitività tramite un programma di liberalizzazioni, riduzione drastica (da 8000 a mille) delle partecipate del capitalismo municipale e regionale, ed altre misure strategiche indicate da tempo su Formiche.net.
Il resto è silenzio. Come dice Amleto morente.
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