OPERA/ Un grande successo internazionale italiano arriva a Bologna
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Chi ama la musica contemporanea deve correre a Bologna dove sino al 17 giugno è
in scena Luci mie traditrici di Salvatore Sciarrino in una
coproduzione con la Staatsoper under den Linden di Berlino (dove resterà in
repertorio per diverse ‘stagioni’). Il repertorio teatrale contemporaneo
costituisce uno dei fili conduttori delle stagioni più recenti del Teatro
Comunale di Bologna.
Luci mie traditrici di Salvatore Sciarrino – Leone
d'Oro 2016 della Biennale di Venezia – in una nuova produzione internazionale
firmata da Jürgen Flimm, uno dei più importanti registi teatrali tedeschi. Sul
podio dell'Orchestra della fondazione bolognese un grande esperto del
repertorio contemporaneo, e di Sciarrino in particolare, Marco Angius. Nei
ruoli vocali Katharina Kammerloher (La Malaspina), Lena Haselmann
(L'ospite), Christian Oldenburg (Un servo della casa), Otto Katzameier (Il
Malaspina), Lena Haaselmann (Voce da dietro).
Scene di Annette Murcheit, costumi di Birgit Wentsch, luci di
Sebastian Alphons e drammaturgia di Jens Schroth. Luci mie traditrici di
Salvatore Sciarrino è probabilmente l’opera contemporanea italiana di maggior
successo internazionale.
Ha debuttato nel 1998 al festival di Schwetzingen in versione
ritmica e con il titolo Die tödische Blume (Il Fiore
della Morte); da allora è stata vista più volte in Germania, Austria, Francia,
Belgio, Polonia, Spagna, Russia, Gran Bretagna,
Argentina, Svezia, Stati Uniti e Corea del Sud. E’ stata anche
messo in scena nel 2008 al Festival di Salisburgo. In Italia, ha avuto
un’esecuzione in forma di concerto (da parte di una compagnia tedesca) a
‘Settembre Musica’ a Torino nel 2002 e due recite al Teatro Poliziano di
Montepulciano (da cui è stato tratto un buon DvD) nel 2010.
«Luci mie traditrici – ci ha detto il
sovrintendente Nicola Sani – è una delle più belle opere del nostro tempo. Con
le parole di Marco Angius, potremmo definirla "indagini su una
tragedia", un teatro musicale intenso e suggestivo, dove la componente
drammaturgica s’impone musicalmente all’ascolto prima ancora delle suggestioni
sceniche. È un’opera meteorologica nel senso che le voci dei
protagonisti si trovano immerse in un ambiente reale e insieme trasfigurato. La
musica di Sciarrino trasforma i fenomeni quotidiani minimi in realtà
universali. La sua ecologia del suono coglie le implicazioni
psicologico-percettive dei cambiamenti d’ambiente, trasformandole in termini
compositivi e teatrali. Suoni-sfondo costellano il soundscape di Luci
mie traditrici, segnando il passare del tempo e il mutare del clima;
un costante pulsare che definisce una sorta di vegetazione sonora abitata da
una fauna fantastica. Come in un film di musica, la percezione dello spettatore
si sposta con salti d’inquadratura repentini e la tensione viene accresciuta
facendo ruotare la musica stessa in senso inverso al procedere degli eventi,
con i battiti cardiaci che saltano e si arrestano, il respiro che si fa
pesante, le interferenze delle riprese esterne che appaiono a intermittenza
accrescendo la suspense. Siamo particolarmente orgogliosi che la nuova
produzione di quest'opera straordinaria del compositore italiano oggi più
rappresentativo sul piano internazionale, realizzata dal Teatro Comunale in
collaborazione con la Staatsoper di Berlino – uno dei più importanti teatri del
mondo – con la regia e la direzione d'orchestra di due grandi firme quali Jürgen Flimm
e Marco Angius, veda la luce a Bologna prima delle successive riprese sul
celebre palcoscenico della capitale tedesca».
«Luci mie
traditrici – sostiene Salvatore Sciarrino – vuole essere la vera e
propria affermazione di una riforma del teatro, perché l’uso delle voci,
l’invenzione e la maturazione dello stile vocale permettono di nuovo di fare
teatro, non solo di cantare genericamente sulla scena, cosa che non mi ha mai
interessato. Il mio è un teatro “dopo” il cinema, a partire dal modo in cui
sono tagliate le scene, che procedono per blocchi secchi che “sottraggono” e
fanno capire quello che avviene».
«Luci mie
traditrici – specifica ol compositore – è un’opera nel pieno
senso del termine. Essa non torna indietro, a modelli preesistenti, né si
sporca di retorica a buon prezzo. La sua forza risiede nell’espressione del
canto, nella creazione di uno stile vocale. Uno stile di nuovo inventato».
Scrivendo su
questo lavoro, il musicologo Gianfranco Vinay afferma «opera, dunque, ma
non nel senso della tradizione settecentesca e ottocentesca. Piuttosto in
quello delle diverse “favole”, “rappresentazioni”, “musiche sopra...”,
“tragedie in musica” dell’inizio del melodramma, senza alcuna intenzione, però,
di rifarsi a esse come a modelli. Il rapporto di Sciarrino con la tradizione
non è mai retrospettivo, ma progressivo. Tradizione come sfida alla creatività,
come sprone ad un rinnovamento costante, a calarsi nei panni dei Peri e dei
Caccini che “oggi” si proponessero di reinventare il melodramma a partire dal
suo fondamento primo: l’intonazione musicale del testo poetico-drammatico».
La breve
opera (70 minuti) tratta di amore e morte. Inizialmente, Sciarrino intendeva
mettere in scena l’uxoricidio del madrigalista Carlo Gesualdo nel 1590;
appreso che Schnitte stava lavorando sullo stesso argomento, spostò l’azione ad
un Paese nordico a fine ottocento. In un ambiente Biedermeier, al
risvegliarsi in Duca e la Duchessa (Katharina Kammerloher e Otto Katzameier)
inneggiano al loro amore eterno. Appena lui esce per andare a caccia, le lo
tradisce con un giovane ospite della residenza (Lena Hanselmann) . A ragione di
una soffiata del servo ( Christian Oldenburg), il Duca apprende la tresca, la
Duchessa confessa e viene perdonata. Dopo cena vanno a riposare cantando di
nuovo il loro reciproco amore, ma quando la Duchessa apre la tenda per fare
entrare la luce del mattino, trova l’ospite ucciso ai piedi del letto. Anche
lei viene pugnalata a morte dal marito. Nella regia di Flimm, il Duca appare
psicopatico ( e forse drogato) sin dalla prima scena e del finale si avvia
verso il suicidio dopo avere pugnalato anche il servo testimone della vicenda.
Un dramma torbido, di cui Flimm accentua gli aspetti erotici e morbosi.
Marco Angius
mostra a tutto tondo il soundscape del lavoro: sonorità
isolate, impiego di tecniche strumentali avanzate, silenzi frequenti,
riferimenti ironici ed anche conflittuali ad altre composizioni, citazioni da
musica pop americana ed in particolare da un’elegia di Charles Le Jeune del
1609, che risuona in particolare nel finale. A questo stile eclettico di una
partitura di avanguardia, fa riscontro un canto i cui lo Sprechgesang si
discioglie in brevi ariosi ed è contrappuntato da madrigali fuori scena. In
breve, nonostante l’apparente austerità della partitura, la scrittura è
ricchissima ed eclettica. Gran successo alla anteprima. Vedremo nelle repliche
la risposta del pubblico felsineo.
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