Il debito dell’Eurozona
Il 31 maggio, all’assemblea della Banca d’Italia,
il problema del debito dell’eurozona è stato appena sfiorato nelle
“considerazioni finali” del Governatore Ignazio Visco. In questi giorni,
tuttavia, è stato al centro e della sessione del Consiglio della Banca centrale
europea (Bce) tenuta a Vienna il primo giugno e di un convegno internazionale
organizzato dall’Università La Sapienza di Roma dal 30 maggio al primo giugno.
Le discussioni del Consiglio Bce sono naturalmente coperte da riserbo. I
“paper” presentati al convegno alla Università La Sapienza verranno finalizzati
nelle prossime settimane e pubblicati negli atti dell’iniziativa.
Tuttavia, alcuni lavori apparsi di recente
consentono di avere un’idea dell’aria che tira. Nella vasta letteratura
scientifica di queste settimane è di particolare rilievo il lavoro di Paul De
Grauwe, Yuemei Ji e Armin Steinbach (rispettivamente della London School of
Economics, dell’University College di Londra e del Nuffield College della
Università di Oxford) The EU Debt Crisis: Testing and Revisiting
Conventional Legal Doctrine (La crisi del debito dell’eurozona : testare e
rivisitare la dottrina legale convenzionale) pubblicato come LEQS Paper N0.
108. A differenza di gran parte della letteratura che è principalmente
economica ed econometrica, si tratta di un lavoro giuridico in cui si
sottolinea come, sotto il profilo della dottrina, non dovrebbero essere
consentiti né salvataggi (bail out) né infusioni di liquidità (per
tenere a galla il debitore) poiché sarebbe lo spread ad imporre la disciplina
per rimborsare il debito. Tuttavia, una serie di analisi econometriche condotte
dagli autori dimostrano che i movimenti dello spread in Italia, Portogallo e Francia
dipendono più dalla percezione dei mercati della politica economica che dalla
situazione del debito pubblico. Quindi il divieto di salvataggi e di infusione
di liquidità dovrebbe essere esteso a questi elementi (ossia alla percezione
dei mercati della politica economica del Paese debitore) Quindi, una politica
più restrittiva di quella sinora applicata.
Di tutt’altro tono, le proposte presentate al
convegno a Roma. Tra le più convincenti, la proposta di ristrutturazione
presentata da Ernesto Longobardi ed Antonio Pedone. Sottolineato “l’alto costo
sociale” (il servizio del debito impedisce di soddisfare esigenze
pressanti in vati settori)) e l’impossibile di ridurre il debito utilizzando
l’avanzo primario (che in Italia dovrebbe essere tra il 4% ed il 7% del
Pil per vent’anni a seconda delle ipotesi, comunque tale da costringersi ad una
severa austerità, e possibile deflazione di lungo periodo), la proposta parte
dalla distinzione tra debiti esistenti ereditati dal passato (in gergo legacy
debit) e la definizione di un meccanismo che regoli a regime la
ristrutturazione del debito tra Stati sovrani nell’ambito dell’eurozona.
Dei due aspetti il primo è di interesse più
immediato, a ragione dell’escalation degli ultimi anni non necessariamente
destinata a fare marcia indietro nel prossimo futuro. Analizzati i principali
schemi sul tappeto ( da quello del Comitato dei Consiglieri Economici della
Germania a quello del Centro europeo di ricerca di politica economica, se ne
mettono in risalto i punti comuni: a) una consistente ristrutturazione dei
debiti pubblici nell’eurozona è condizione ineludibile per fare ripartire la
crescita e uscire dalla trappola austerità-debito; b) la ristrutturazione
dovrebbe essere disegnata nel rispetto di due vincoli di natura prevalentemente
politica. escludere i trasferimenti tra Stati; non non infliggere perdite ai
creditori privati (no bail-in), ossia porre il costo della
ristrutturazione posto a carico dei contribuenti presenti e futuri, accentuando
così le responsabilità di Stati e di Governi. La proposta è corredata da uno
schema di misure tecniche in via di affinamento.
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