FINANZA E POLITICA/
"L'ultima chance" rimasta all'Ue
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lunedì 27 giugno 2016
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NEWS Economia e Finanza
Dopo La
Caduta è uno dei
drammi più controversi (e meno apprezzati) di Arthur Miller in cui un
intellettuale riflette sul fallimento del proprio matrimonio e del suicidio
della propria ex-moglie (i riferimenti alla sua vita con Marilyn Monroe sono
fin troppo evidenti). Perché mi è venuto in mente la mattina del 26 giugno,
mentre in Spagna stanno iniziando le operazioni di voto, nelle capitali europee
si succedono concitate riunioni tra Capi di Stato e Capi di Governo, la finanza
e le banche attendono con ansia la riapertura dei mercati lunedì 27 giugno, in
Gran Bretagna si firmano petizioni per un nuovo referendum nella speranza che
fornisca risultati opposti a quello del 23 giugno?
Il vecchio play
del 1964 messo in scena da Elia Kazan mi è tornato alla mente perché
l’Europa ha oggi, come non mai, l’esigenza su una riflessione su dove vuole
andare nelle circostanze del secondo decennio del ventunesimo secolo, molto
differenti da quelle in cui nel 1944, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli ed
Ernesto Rossi hanno scritto, nel confino di Ventotene, il Manifesto per
un’Europa federale come obiettivo per superare le guerre che avevano
insanguinato il Continente vecchio.
Tra Brexit,
possibile Grexit, tracollo dei partiti tradizionali, crescita dei movimenti non
convenzionali, quella che un tempo veniva chiamata la classe dirigente
europea non dirige più nulla. Anche se eletta dal popolo sovrano, a
essa lo stesso popolo sovrano che l’ha votata risponde con rabbia e
frustrazione. Anche se vuole andare avanti verso un’unione ever closer,
come delineato nei trattati ratificati dai 38 Parlamenti (solo il Belgio ne ha
sette) dei 28 Stati membri, non sa come farlo.
Dopo aver
promesso, sedici anni fa, l’area economica “più dinamica e più prospera
dell’economia mondiale” ha perso negli ultimi otto anni il 20% circa del Pil, è
minacciata da una stagnazione secolare, assediata da milioni di migranti, posta
a rischio da un terrorismo ormai capillare, alle prese di con diseguaglianze ed
esclusioni sociali sempre più gravi. È, quindi, in una situazione non sostenibile.
Non può neanche tornare indietro perché si è avviluppata in una rete di lacci,
nodi e catene (i cosiddetti acquis communautaires) sempre più
contorta, oltre che sempre più stretta. Per queste ragioni, c’è uno scollamento
sempre più grave tra la classe dirigente e una proporzione crescente
della popolazione europea.
Se l’Unione
europea vuole sopravvivere (evitando un progressivo sgretolamento) deve mutare
obiettivi (i soli e i veri elementi di coesione) e assetto istituzionale. Alle
generazioni che oggi hanno quaranta o anche cinquanta anni, l’utopia di
Colorni, Spinelli e Rossi e le iniziative di Monnet, Adenauer, Schumann, De
Gasperi per dare a esse corpo, non significano nulla. Mordono invece la
disoccupazione, l’angoscia per il presente e il futuro di se stessi e dei
propri figli, la fine dell’ascensore sociale, l’insicurezza personale,
un’immigrazione in continua crescita (a ragione di inarrestabili pressioni
demografiche). E via discorrendo.
Dopo la
caduta (la Brexit e i successi elettorali dei movimenti antisistemici,
populistici, euroscettici e anti-europei), gli Stati europei devono trovare una
nuova base di obiettivi comuni e di consenso che guardi ai problemi di oggi
(non a quelli di settanta anni fa) e alle prospettive delle nuove generazioni.
Potrebbe
essere una serie di accordi intergovernativi sui temi indicati in precedenza,
tra gruppi di Stati oggi aderenti all’Ue, quindi a geometria variabile. Un’Ue
profondamente riformata nel suo quadro istituzionale potrebbe fare da cornice a
tali accordi intergovernativi e assicurarne l’attuazione. Indubbiamente - non
facciamoci illusioni - il Paese che meglio ha retto alla crisi e ha maggiore
potenziale economico (la Repubblica Federale Tedesca) avrebbe maggiori
responsabilità di altri e ne assumerebbe la leadership.
Non
facciamoci, però, illusioni. La Germania di oggi ha, nel consesso europeo, un
ruolo e un dilemma analogo a quello della Germania di Bismarck: da un lato, è
tanto grande che ogni sua mossa si riverbera su tutto il consesso, da un altro,
non è abbastanza grande da prendersi carico, da sola, di tutti i problemi
europei.
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