Palchi
e platee
di Beckmesser
A via di Santa Croce in Gerusalemme,
sede della Direzione generale
dello spettacolo dal vivo, le preoccupazioni
aumentano man mano
che si avvicina la Legge di bilancio.
Dopo vent’anni di funzionamento,
commissariamenti vari, leggi speciali
per infondere linfa di liquidità
in enti sul punto del tracollo, ma
intenzionati a ristrutturarsi, ci si
chiede se il modello delle fondazioni
lirico-sinfoniche è ancora valido.
E se lo è mai stato. In effetti,
quando nel 1996 venne varata la
normativa pertinente, si pensava
di modellare i principali enti lirici
sulla Scala e l’Accademia nazionale
di Santa Cecilia. Sarebbero state
fondazioni private con contributi
dello Stato, nonché della Regione
e del Comune di appartenenza,
ma in grado di stare in piedi con le
proprie gambe grazie alla biglietteria,
alla vendita di produzioni anche
all’estero, ai soci privati pronti a
investire nell’opera lirica. Al Teatro
dell’Opera di Roma venivano conferite
sovvenzioni speciali a ragione
della funzione di rappresentanza
che ha nella capitale. Vent’anni
dopo, anche dei teatri che hanno
avuto ben due commissariamenti
– come quelli del Maggio musicale
fiorentino – sono coperti di debiti e
hanno spesso la sala mezza vuota.
Le masse artistiche sono spesso in
rivolta; a spettacoli che saltano per
gli scioperi il pubblico e i potenziali
investitori privati voltano le spalle.
Non è una valle di lacrime dappertutto.
Il Teatro dell’Opera di Roma è
in pieno rilancio. La Fenice funziona
egregiamente. Stanno migliorando,
grazie a un accurato mix di generi
(dal repertorio consueto al jazz) e
un’aggressiva politica di coproduzioni
e riduzione dei costi, il San Carlo
di Napoli e il Massimo di Palermo.
Diverse fondazioni non nutrono
illusioni. Sono allo studio vari rimedi
che hanno come obiettivo quello di
ridurre il numero delle fondazioni
lirico-sinfoniche e trasformare le
altre in teatri di tradizione. Le prime
ricevono una sovvenzione annua
globale sulla base di vari criteri
quantitativi (numero di spettacoli);
gli altri finanziati sulla base della
produzione (spettacoli effettivamente
realizzati). Lo schema più drastico
prevede di mantenere in vita solo
tre fondazioni (la Scala, l’Accademia
nazionale di Santa Cecilia e il Teatro
dell’Opera di Roma). Altri schemi
manterrebbero una fondazione al
sud (in lotta il San Carlo di Napoli e
il Massimo di Palermo ed è possibile
che ambedue potranno continuare
a fregiarsi del titolo di “fondazione
lirica”). Si aggiungono schemi
semi-volontaristici di accorpamento
più o meno volontario (Verona-La
Fenice). I teatri di Firenze potrebbero
diventare un’appendice della
fondazione di Bologna, scorporando
il Maggio musicale che entrerebbe
nella piccola categoria dei festival
di rilevanza internazionale. Tutto ciò
è reso complicato da tensioni localistiche
(e dal fatto che Firenze è
nel cuore di Palazzo Chigi). C’è comunque
una scadenza perentoria:
la Legge di bilancio. Occorre ribadire
che i 30 teatri di tradizione, spesso
organizzati in circuiti anche internazionali,
producono lavori di qualità
a costi contenuti e fanno quasi
sempre il tutto esaurito. Un caso
esemplare è la Fondazione Pergolesi
Spontini di Jesi che chiude, per il
decimo anno consecutivo, il bilancio
in pareggio, nonostante, a ragione
della crisi economica che si protrae
dal 2007, i suoi sponsor privati
(Banca delle Marche, Indesit) abbiano
avuto difficoltà. È una piccola
realtà (un bilancio di 2,8 milioni di
euro), ma nel 2015 ha organizzato
210 eventi con 47.436 spettatori
(in una città di 40mila abitanti, un
decimo di quelli di Firenze). Inoltre
le maestranze contrattualizzate per
le produzioni liriche sono state 799,
per un totale di 19.466 giornate
lavorative erogate. Sono state 104
le giornate di apertura del laboratorio
scenografico della fondazione
e 14mila gli studenti coinvolti nei
progetti educativi. I dettagli del
bilancio civilistico sono sul sito della
fondazione, come anche il bilancio
sociale. La fondazione ha sempre
operato una forte attività di coproduzione
con il circuito lombardo, altri
teatri dell’Italia centrale e anche
circuiti stranieri (per lo più quello
francese). Ha sviluppato un laboratorio
scenografico di qualità dove
vengono approntate scene anche
per altri teatri. E ha un’importante
attività editoriale-scientifica per la
pubblicazione di edizioni critiche dei
lavori di Pergolesi e Spontini.
e platee
di Beckmesser
A via di Santa Croce in Gerusalemme,
sede della Direzione generale
dello spettacolo dal vivo, le preoccupazioni
aumentano man mano
che si avvicina la Legge di bilancio.
Dopo vent’anni di funzionamento,
commissariamenti vari, leggi speciali
per infondere linfa di liquidità
in enti sul punto del tracollo, ma
intenzionati a ristrutturarsi, ci si
chiede se il modello delle fondazioni
lirico-sinfoniche è ancora valido.
E se lo è mai stato. In effetti,
quando nel 1996 venne varata la
normativa pertinente, si pensava
di modellare i principali enti lirici
sulla Scala e l’Accademia nazionale
di Santa Cecilia. Sarebbero state
fondazioni private con contributi
dello Stato, nonché della Regione
e del Comune di appartenenza,
ma in grado di stare in piedi con le
proprie gambe grazie alla biglietteria,
alla vendita di produzioni anche
all’estero, ai soci privati pronti a
investire nell’opera lirica. Al Teatro
dell’Opera di Roma venivano conferite
sovvenzioni speciali a ragione
della funzione di rappresentanza
che ha nella capitale. Vent’anni
dopo, anche dei teatri che hanno
avuto ben due commissariamenti
– come quelli del Maggio musicale
fiorentino – sono coperti di debiti e
hanno spesso la sala mezza vuota.
Le masse artistiche sono spesso in
rivolta; a spettacoli che saltano per
gli scioperi il pubblico e i potenziali
investitori privati voltano le spalle.
Non è una valle di lacrime dappertutto.
Il Teatro dell’Opera di Roma è
in pieno rilancio. La Fenice funziona
egregiamente. Stanno migliorando,
grazie a un accurato mix di generi
(dal repertorio consueto al jazz) e
un’aggressiva politica di coproduzioni
e riduzione dei costi, il San Carlo
di Napoli e il Massimo di Palermo.
Diverse fondazioni non nutrono
illusioni. Sono allo studio vari rimedi
che hanno come obiettivo quello di
ridurre il numero delle fondazioni
lirico-sinfoniche e trasformare le
altre in teatri di tradizione. Le prime
ricevono una sovvenzione annua
globale sulla base di vari criteri
quantitativi (numero di spettacoli);
gli altri finanziati sulla base della
produzione (spettacoli effettivamente
realizzati). Lo schema più drastico
prevede di mantenere in vita solo
tre fondazioni (la Scala, l’Accademia
nazionale di Santa Cecilia e il Teatro
dell’Opera di Roma). Altri schemi
manterrebbero una fondazione al
sud (in lotta il San Carlo di Napoli e
il Massimo di Palermo ed è possibile
che ambedue potranno continuare
a fregiarsi del titolo di “fondazione
lirica”). Si aggiungono schemi
semi-volontaristici di accorpamento
più o meno volontario (Verona-La
Fenice). I teatri di Firenze potrebbero
diventare un’appendice della
fondazione di Bologna, scorporando
il Maggio musicale che entrerebbe
nella piccola categoria dei festival
di rilevanza internazionale. Tutto ciò
è reso complicato da tensioni localistiche
(e dal fatto che Firenze è
nel cuore di Palazzo Chigi). C’è comunque
una scadenza perentoria:
la Legge di bilancio. Occorre ribadire
che i 30 teatri di tradizione, spesso
organizzati in circuiti anche internazionali,
producono lavori di qualità
a costi contenuti e fanno quasi
sempre il tutto esaurito. Un caso
esemplare è la Fondazione Pergolesi
Spontini di Jesi che chiude, per il
decimo anno consecutivo, il bilancio
in pareggio, nonostante, a ragione
della crisi economica che si protrae
dal 2007, i suoi sponsor privati
(Banca delle Marche, Indesit) abbiano
avuto difficoltà. È una piccola
realtà (un bilancio di 2,8 milioni di
euro), ma nel 2015 ha organizzato
210 eventi con 47.436 spettatori
(in una città di 40mila abitanti, un
decimo di quelli di Firenze). Inoltre
le maestranze contrattualizzate per
le produzioni liriche sono state 799,
per un totale di 19.466 giornate
lavorative erogate. Sono state 104
le giornate di apertura del laboratorio
scenografico della fondazione
e 14mila gli studenti coinvolti nei
progetti educativi. I dettagli del
bilancio civilistico sono sul sito della
fondazione, come anche il bilancio
sociale. La fondazione ha sempre
operato una forte attività di coproduzione
con il circuito lombardo, altri
teatri dell’Italia centrale e anche
circuiti stranieri (per lo più quello
francese). Ha sviluppato un laboratorio
scenografico di qualità dove
vengono approntate scene anche
per altri teatri. E ha un’importante
attività editoriale-scientifica per la
pubblicazione di edizioni critiche dei
lavori di Pergolesi e Spontini.
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