Merkel
sarebbe irritata per le «circostanze eccezionali»
GIUSEPPE
PENNISI
La sera del
30 giugno, al termine di due giornate concitate, Bruxelles ha dato il via
libera a un piano di sostegno pubblico alle banche italiane. La documentazione
ufficiale precisa che l’autorizzazione è stata data in base ai regolamenti
«sugli aiuti di Stato» (una comunicazione della Commissione pubblicata nel
2013) in situazioni «eccezionali». Ieri è stato precisato che le garanzie non
servono per ricapitalizzare. C’è un nesso tra questa decisione della
Commissione e le polemiche che il 29 giugno sono esplose in seguito a
dichiarazioni contrastanti della cancelliera Angela Merkel e del premier Matteo
Renzi?
La mattina
del 30 giugno numerose testate internazionali hanno riportato una nota
dell’agenzia Reuters secondo cui, al recente Consiglio Europeo, l’Italia
avrebbe tentato (senza riuscirci) di fare sancire, nella confusione creata
dalla Brexit, un’interpretazione di comodo delle deroghe al bail-in (e degli
aiuti a banche in diffi- coltà) quali previste dalla regole sino ad ora
approvate dell’unione bancaria. Come è noto, sono stati definiti due pilastri:
la vigilanza e la 'risoluzione' di istituti in dissesto (dove si prevede il
bail-in) ma non il terzo (la garanzia comune per i conto correnti). Quindi,
l’unione bancaria è per ora uno sgabello a due sole gambe. Nel corso della
giornata, anche in seguito a un rapporto del Fmi, è apparso chiaro che Deutsche
Bank è fra gli istituti con una forte porzione di crediti deteriorati nelle
proprie attività. Ciò ha dato agio a Jean Claude Juncker di individuare una
soluzione, al di fuori della normativa sull’unione bancaria, nelle deroghe (per
questo motivo un tampone di soli si mesi) alle norme sugli aiuti di Stato.
Sull’unione bancaria, le ragioni del diverbio vengono da lontano. Durante il
negoziato degli strumenti giuridici relativi alle 'risoluzioni' fu chiaro a
economisti e giuristi italiani che le nuove regole avrebbero creato problemi a
istituti di medie e grandi dimensioni. I negoziatori non ottennero alcunché.
Quando le nuove regole andarono al Parlamento europeo per la co-decisione (con
il Consiglio Ue) necessaria, economisti e giuristi italiani discussero con
membri italiani del Pe la possibilità di una fase di transizione. La proposta
non venne neanche articolata e sollevata. Ora che la Germania si sente tirata
per la giacchetta sul terzo pilastro, si irrigidisce di fronte alle richieste
italiane sul bail-in. In punta di diritto – si afferma al ristorante
'Eisenstein' del boulevard Unter der Linden di Berlino, all’angolo della
Wilehlmstrasse, dove ha sede il ministero federale dell’Economia e vanno a
pranzo alti dirigenti del dicastero – le regole prevedono eccezioni in caso di
dissesti tali da coinvolgere l’intera unione bancaria. In parole povere, se
IntesaSP o Unicredit oppure Deutsche Bank stessero per saltare, si
indosserebbero occhiali benevoli per evitare un collasso europeo. Ciò che
irrita la cancelliera e i suoi collaboratori è il richiamo alla deroga concessa
dal Consiglio Europeo a Francia e Germania nel 2003. Deroga – si sottolinea –
basata sull’articolo 104 del Trattato di Maastrich in cui si prevede la
possibilità di derogare ad uno solo dei due parametri chiave in caso di
«circostanze eccezionali» come gli uragani che in quegli anni devastarono
Francia e Germania. Tale deroga – si aggiunge con malizia – potrà essere
chiesta dall’Italia per il deficit di bilancio se si verificano «circostanze
eccezionali» e quando il rapporto debito Pil sarà giunto al 60% (ora al 132%,
alla firma del Trattato di Maastricht era al 105%). L’intervento della
Commissione, pertanto, ha fornito un tampone temporaneo, ma le divergenze
continuano.
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A Berlino non piace il richiamo alla
deroga concessa dal Consiglio a Francia e Germania nel 2003
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