Il Corriere di Victor Ciuffa
AddThis Sharing Buttons
Share to WhatsAppShare to TwitterShare to FacebookShare to Google+Share to
LinkedInShare to E-mail
Le guerre
del Corriere della Sera non finiscono mai. Ora ne è in corso una
sull’Offerta Pubblica di Scambio (OPS). Circa trentacinquenne anni fa, ne era
un atto un’altra, cruenta, in cui olezzava odore di zolfo e logge secrete.
Allora, vivevo ancora negli Stati Uniti, ma sentii risuonare alla radio una
voce che conoscevo che tuonava, “Il Corriere è libero e i suoi giornalisti sono
liberi!”.
Era quella
di Victor Ciuffa. Lo avevo conosciuto nel 1962 sui banchi
dell’Università, dove lui stava studiando per una laurea in Scienze Politiche,
dopo averne conseguita una in giurisprudenza. Ci separavano dieci anni e Ciuffa
era un giornalista affermato. Nonostante queste differenze stringemmo amicizia.
Allora Victor lavorava per l’edizione serale, Il Corriere d’Informazione,
ed era forse l’amico più stretto di Gaetano Afeltra, oltre che di Federico
Fellini, il quale pare si sia ispirato a lui per il ruolo del protagonista
de La Dolce Vita . Tra i 25 e i 30 anni, Ciuffa era stato cronista “mondano”
(come si diceva a Roma) e conosceva tutta la high society della capitale.
Viveva a Montecompatri con la madre e le sorelle, ma il lavoro comportava fare
le ore piccole e, quindi, aveva un bel pied à terre a Via Borgognona. Là
incontrai personaggi de La Dolce Vita, ma Victor aveva anche impiantato una
piccola agenzia di analisi e commenti da dove scriveva per giornali di
provincia (allora non esistevano fax) che inviava per telex. Rapidissimo,
sovente li scriveva direttamente sulla telescrivente. Non ho mai compreso cosa
legasse un ragazzino ventunenne come me e un trentunenne già in piena carriera
come Victor. Tuttavia, per circa quattro anni ci vedemmo quasi una volta la
settimana e grazie a lui collaborai a un periodico francese, Débat.
Ci perdemmo
quasi completamente di vista durante i tre lustri che passai in America, mentre
lui al Corriere della Sera ebbe una carriera variegata: da cronista
“mondano” a inviato in zone di guerra, a redattore capo e per un periodo anche
capo della redazione romana. Nei miei passaggi a Roma ci vedevamo di tanto in
tanto con il collega e amico Carlo Monotti. Victor era diventato,
nel frattempo, responsabile della redazione economica e aveva anche fondato un
mensile (con l’aiuto della sua impareggiabile moglie, Anna Maria) e creato una
casa editrice con sede in un palazzetto di Via Rasella. Mi invitò a collaborare
al mensile, per cui già scrivevano vecchi amici, come Alberto Mucci e Michele
Tito. Anche loro, giornalisti-signori di un’epoca ormai sparita.
Ci perdemmo
di nuovo di vista. L’ultima volta lo vidi alcuni anni fa a Via Rasella, reduce
di un’operazione (se ben ricordo) al ginocchio. Non aveva perso il buon umore e
la fede nella vita vista sempre e comunque come dolce.
Purtroppo un impegno medico mi ha fatto mancare il suo funerale. Di lui restano cinque libri (scritti con il sostegno di Anna Maria), ma soprattutto il “tuon del suo detto” (parafrasando una celebre aria verdiana): “Il Corriere è libero e i suoi giornalisti sono liberi!”.
Purtroppo un impegno medico mi ha fatto mancare il suo funerale. Di lui restano cinque libri (scritti con il sostegno di Anna Maria), ma soprattutto il “tuon del suo detto” (parafrasando una celebre aria verdiana): “Il Corriere è libero e i suoi giornalisti sono liberi!”.
Nessun commento:
Posta un commento