sabato 23 luglio 2016

Le tre parole che disturbano il sonno a Draghi in Avvenire 24 luglio



Analisi.
Le tre parole che disturbano il sonno a Draghi
GIUSEPPE PENNISI
Ci sono tre parole-chiave per entrare nel lessico della Bce e, quindi, anche meglio comprendere i grattacapi che trapelavano sul volto meno impassibile del solito del suo presidente, Mario Draghi, nella conferenza stampa del 21 luglio. La prime due sono note, la terza meno. Vediamole.
Quantitative Easing. È il programma diretto a stimolare la crescita (e fare uscire l’eurozona dalla deflazione) tramite acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario. Iniziato nel marzo 2015, dovrebbe durare sino al marzo 2017. Fino ad ora ha accumulato titoli pubblici per 875 miliardi di euro. Ha senza dubbio avuto l’effetto di ridurre i tassi d’interesse , in alcuni Stati sino ad azzerarli. Ma la crescita dell’economia reale non c’è stata che in forma flebile. E si è ben lontani dall’esse- re usciti dalla deflazione. Soprattutto, l’offerta di titoli pubblici si sta esaurendo e quella di Bund tedeschi è già al lumicino. Da un lato, a Francoforte si dubita che il QE possa alimentarsi sino al marzo 2017. Dall’altro si nutrono perplessità sui suoi risultati (rispetto agli obiettivi annunciati). Tanto più che la Brexit potrebbe dal prossimo autunno causare fibrillazione nei mercati e rendere necessarie misure precauzionali da parte della Bce, sterilizzandone parte delle risorse. Quindi, a Francoforte, ci si arrovella su quale strategia, quale programma e quali misure adottare nel post QE in tempo di Brexit.
Npl. È l’acronimo di Non Performing Loans (una locuzione che include tutte la categorie di crediti deteriorati, dagli incagli alle insolvenze, fino alla sparizione del debitore). L’Italia ha il triste primato di essere il campione del comparto: i suoi Npl sono pari a tre volte la media dell’eurozona. Questa testata ha già scritto che le regole europee permettono, in casi estremi, un grado di flessibilità quali le garanzie dello Stato o anche l’intervento pubblico (purché temporaneo). Il presidente della Bce lo ha appena ricordato. Perché il marchingegno non scatta? Il Doom Loop lo spiega.
Doom Loop. Una traduzione letterale è 'ciclo del disastro'. Il Doom Loop è la compenetrazione viziosa dei rischi tra sistema bancario e finanza pubblica, alimentata dai canali dell’esposizione di titoli sovrani e dalla crescita dei deficit (e debiti) pubblici gonfiati dai salvataggi bancari. Dal 2008 a oggi, il Doom Loop ha caratterizzato Paesi che pur avevano le finanze pubbliche in ordine e un livello di debito relativamente basso rispetto al Pil; si pensi ai casi di Irlanda e Spagna. A Francoforte e a Bruxelles ci si mangia le mani per avere troppo spesso indossato occhiali benevoli. Si nutrono dubbi e perplessità ora che nei guai sono le banche di un Paese il cui debito pubblico è oltre il 130% del Pil e il raggiungimento dell’equilibrio strutturale di bilancio un bersaglio mobile (secondo la legge costituzionale rafforzata del 2012 si sarebbe dovuto raggiungere nel 2014, ora si parla del 2017). Inoltre, ci si chiede perché, invece di concedere loro laute liquidazioni, non sono state prese misure severe nei confronti di amministratori e dirigenti (alcuni Stati degli Usa, prevedono carcerazioni trentennali). Quindi , il rischio di Doom Loop e la 'clemenza' mostrata nei confronti dei protagonisti dei disastri non agevolano una soluzione per i Npl italiani. Tanto più che – lo ha ribadito Draghi, ma pochi sembrano essersene accorti – in Italia non c’è una normativa organica sui Non performing loans.
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Piccola guida ai dilemmi della Bce: Quantitative easing, sofferenze e «Doom Loop» ovvero il «ciclo del disastro»

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