Analisi.
Le tre
parole che disturbano il sonno a Draghi
GIUSEPPE
PENNISI
Ci sono tre
parole-chiave per entrare nel lessico della Bce e, quindi, anche meglio
comprendere i grattacapi che trapelavano sul volto meno impassibile del solito
del suo presidente, Mario Draghi, nella conferenza stampa del 21 luglio. La
prime due sono note, la terza meno. Vediamole.
Quantitative
Easing. È il
programma diretto a stimolare la crescita (e fare uscire l’eurozona dalla
deflazione) tramite acquisti di titoli pubblici sul mercato secondario.
Iniziato nel marzo 2015, dovrebbe durare sino al marzo 2017. Fino ad ora ha
accumulato titoli pubblici per 875 miliardi di euro. Ha senza dubbio avuto
l’effetto di ridurre i tassi d’interesse , in alcuni Stati sino ad azzerarli.
Ma la crescita dell’economia reale non c’è stata che in forma flebile. E si è
ben lontani dall’esse- re usciti dalla deflazione. Soprattutto, l’offerta di
titoli pubblici si sta esaurendo e quella di Bund tedeschi è già al lumicino.
Da un lato, a Francoforte si dubita che il QE possa alimentarsi sino al marzo
2017. Dall’altro si nutrono perplessità sui suoi risultati (rispetto agli
obiettivi annunciati). Tanto più che la Brexit potrebbe dal prossimo autunno
causare fibrillazione nei mercati e rendere necessarie misure precauzionali da
parte della Bce, sterilizzandone parte delle risorse. Quindi, a Francoforte, ci
si arrovella su quale strategia, quale programma e quali misure adottare nel
post QE in tempo di Brexit.
Npl. È l’acronimo di Non Performing
Loans (una locuzione che include tutte la categorie di crediti deteriorati,
dagli incagli alle insolvenze, fino alla sparizione del debitore). L’Italia ha
il triste primato di essere il campione del comparto: i suoi Npl sono pari a
tre volte la media dell’eurozona. Questa testata ha già scritto che le regole
europee permettono, in casi estremi, un grado di flessibilità quali le garanzie
dello Stato o anche l’intervento pubblico (purché temporaneo). Il presidente
della Bce lo ha appena ricordato. Perché il marchingegno non scatta? Il Doom
Loop lo spiega.
Doom Loop. Una traduzione letterale è 'ciclo
del disastro'. Il Doom Loop è la compenetrazione viziosa dei rischi tra sistema
bancario e finanza pubblica, alimentata dai canali dell’esposizione di titoli
sovrani e dalla crescita dei deficit (e debiti) pubblici gonfiati dai
salvataggi bancari. Dal 2008 a oggi, il Doom Loop ha caratterizzato Paesi che
pur avevano le finanze pubbliche in ordine e un livello di debito relativamente
basso rispetto al Pil; si pensi ai casi di Irlanda e Spagna. A Francoforte e a
Bruxelles ci si mangia le mani per avere troppo spesso indossato occhiali
benevoli. Si nutrono dubbi e perplessità ora che nei guai sono le banche di un
Paese il cui debito pubblico è oltre il 130% del Pil e il raggiungimento
dell’equilibrio strutturale di bilancio un bersaglio mobile (secondo la legge
costituzionale rafforzata del 2012 si sarebbe dovuto raggiungere nel 2014, ora
si parla del 2017). Inoltre, ci si chiede perché, invece di concedere loro laute
liquidazioni, non sono state prese misure severe nei confronti di
amministratori e dirigenti (alcuni Stati degli Usa, prevedono carcerazioni
trentennali). Quindi , il rischio di Doom Loop e la 'clemenza' mostrata nei
confronti dei protagonisti dei disastri non agevolano una soluzione per i Npl
italiani. Tanto più che – lo ha ribadito Draghi, ma pochi sembrano essersene
accorti – in Italia non c’è una normativa organica sui Non performing loans.
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Piccola guida ai dilemmi della Bce:
Quantitative easing, sofferenze e «Doom Loop» ovvero il «ciclo del disastro»
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