BANCHE E POLITICA/ L'ultimatum
pronto per l'Italia
Pubblicazione:
lunedì 25 luglio 2016
Pier Carlo Padoan (Lapresse)
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NEWS Economia e Finanza
Nella
conferenza stampa che ha fatto seguito alla sessione del Consiglio della Banca
centrale europea del 21 luglio, il Presidente Draghi ha dedicato più tempo e
attenzione del solito al problema dei crediti deteriorati del settore bancario
italiano. Ha anche fatto trapelare che in base alla normativa europea vigente
la Commissione europea può, in casi eccezionali, consentire deroghe alle regole
sugli aiuti di Stato e della direttiva sui dissesti bancari al fine di limitare
il bail-in agli azionisti ed evitare la partecipazione all’eventuale
riassetto da parte dei detentori di obbligazioni subordinate.
Ha fatto un
riferimento specifico (poco notato dalla stampa italiana) al fatto che in
Italia manca una normativa su sofferenze, incagli e altro tipo di crediti
deteriorati: si è operato nella logica del “caso-per-caso” (a volte - ma
Draghi, pur facendolo intendere, non lo ha detto - senza esplicitare i criteri
e dando una mano agli “amici”). Ciò crea senza dubbio un problema a istituzioni
internazionali pur volenterose di aiutare l’Italia a uscire dei pasticci,
perché non esiste, nel Bel Paese, un quadro di riferimento chiaro, equo,
trasparente e tale da non dare adito a illazioni su prassi
particolaristico-clientelari.
Draghi ha
omesso di fare riferimento a un paradosso che appare chiaro dalla tabella che vedete
a fondo pagina: la banche italiane sono quelle con maggiori ricavi per cliente
(962 euro nel 2015 rispetto ai 754 del Benelux, ai 569 della Spagna e ai 552
della Germania); nonostante ciò, sono seconde solo all’Irlanda in termini di
crediti deteriorati sul totale dei crediti (16,7% rispetto al 21,5% della
Irlanda e all’1,1% della Svezia). In termini assoluti, com’è noto (anzi
notorio), l’ammontare di crediti deteriorati dell’Italia è pari a tre volte la
media europea.
Questi
indicatori sono un duro atto di accusa nei confronti degli amministratori e dei
manager degli istituti italiani. Un alto funzionario della Commissione
sottolinea che di fronte a questi indicatori chi ha gestito le banche con tanti
crediti deteriorati non dovrebbe ricevere laute liquidazioni ma “avvisi di
garanzia” per reati che potrebbero portarli ad anni di galera e forti
risarcimenti dei danni.
Lasciamo
questi aspetti alla Procura della Repubblica. Nessuno, o quasi, ha sollevato il
rinvio alla Commissione Ue per quella che si potrebbe intendere competenza
della Bce. Non solo deroghe o applicazioni estensive alla regole sulla
concorrenza e sui dissesti bancari sono competenza della Ce, e non della Bce,
ma c’è un nodo di fondo: il nesso tra crediti deteriorati e interventi pubblici
di salvataggio, da un lato, e la finanza pubblica e la crescita, da un altro.
Ciò consiglierebbe di attendere la Legge di bilancio. Ma nell’attesa Mps e
altri istituti potrebbero andare a gambe all’aria.
In gergo,
chi ha studiato un po’ di economia chiama tale nesso il doom loop,
ovvero la compenetrazione viziosa dei rischi tra sistema bancario e finanza
pubblica, alimentata dai canali dell’esposizione di titoli sovrani e dalla
crescita dei deficit (e debiti) pubblici gonfiati dai salvataggi bancari. Dal
2008 a oggi il doom loop ha caratterizzato Paesi che pur avevano le
finanze pubbliche in ordine e un livello di debito relativamente basso rispetto
al Pil; si pensi ai casi di Irlanda e Spagna.
A Bruxelles, ai nutrono dubbi e perplessità sull’Italia. dato che nei guai sono le banche di un Paese il cui debito pubblico è oltre il 130% del Pil e il raggiungimento dell’equilibrio strutturale di bilancio un bersaglio mobile (secondo la legge costituzionale rafforzata del 2012 si sarebbe dovuto raggiungere nel 2014, ora si parla del 2017). Inoltre, dopo le elezioni amministrative, il Governo appare fragile; ancora più debole lo mostrano i sondaggi degli esiti di un referendum trasformato in plebiscito.
Soprattutto,
nonostante al suo insediamento il Governo abbia indicato la crescita come
obiettivo prioritario, non ha né ridotto tasse e sprechi (come si sta muovendo
sulle 8000 partecipate del “capitalismo municipale” è indicatore di poco
coraggio nei confronti di enti spesso solo clientelari), né aumentato
l’investimento pubblico (ormai in rapporto al Pil al minimo storico dalla
nascita della Repubblica), né fatto nulla per incoraggiare quello privato.
Ergo, nell’Ue siamo secondi solo alla Grecia in termini di bassa crescita
economica. E chi si deve esprimere al referendum/plebiscito ne è consapevole.
In questo
quadro sei docenti della School of European Political Economy (Carlo Bastasin,
Lorenzo Bini Smaghi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Fabrizio Saccomanni, e
Gianni Toniolo) hanno rivolto e diffuso on line un appello alle forze politiche
per un “compromesso storico” interno mirato a stabilizzare e ridurre lo stock
di debito pubblico “per porlo su un percorso sostenibile”, nonché a aggiungere
l’equilibrio di bilancio, chiunque sia al Governo nei prossimi anni. Il
“compromesso storico” interno rafforzerebbe la credibilità dell’Italia e
agevolerebbe un accordo con le autorità europee. Forze delle opposizioni hanno
risposto all’appello. Sinora, il Governo ha taciuto. E a Bruxelles lo si sa. La
Legge di bilancio lo forzerà a esprimersi.
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