OPERA/ Il "Nabucco" di Giuseppe Verdi nelle guerre mediorientali
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Alisa Kolosova (Fenena). Luca Salsi (Nabucco)
®Yasuko Kageyama, Opera di Roma Caracalla
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Il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la stagione estiva alle Terme di
Caracalla con un nuova produzione di ‘Nabucco’ di Giuseppe Verdi. Dato che
“Nabucco” viene considerato opera risorgimentale per eccellenza, quasi
un’icona, prima di sottolineare le caratteristiche e le qualità dello
spettacolo, vale la pena riprendere il tema su quanto Verdi possa essere
considerato “il bardo” del Risorgimento e in che misura “Nabucco” può essere
vista come lavoro che contribuì al movimento di unità nazionale.
Gli storici della musica ormai concordano che Verdi acquisì una
coscienza risorgimentale solo in concomitanza dei moti del 1848, della
Repubblica Romana e delle guerre d’indipendenza. Il frutto fu ‘La Battaglia di
Legnano’ che ebbe la sua prima assoluta al Teatro Argentina di Roma proprio
durante la breve esperienza repubblicana.
Occorre, però, fare alcune precisazioni. La coscienza
risorgimentale di Verdi fu limitata. Il compositore è stato essenzialmente un
apolitico, fedele suddito di Maria Luigia duchessa di Parma e Piacenza sino al
trasferimento a Milano (1832) e dopo di allora non ebbe alcuna manifestazione
di “dissidenza” nei confronti degli Asburgo, almeno fino al termine della
seconda guerra d’indipendenza. Le opere della “trilogia popolare” (“Rigoletto”,
“Trovatore” e “Traviata”) non ebbero le loro prime rappresentazioni nella
Milano “liberata”, ma nella Roma papalina e nella Venezia asburgica. La sua
opera concettualmente più rivoluzionaria, “Stiffelio”, imperniata sul perdono dell’adulterio,
ebbe la prima rappresentazione a Trieste, città che fungeva da porto e da Borsa
merci e valori di Vienna.
Verdi, anzi, provava un certo disprezzo nei confronti della
politica, palesato apertamente in “Simon Boccanegra”, “Don Carlo” e, soprattutto,
“Aida”. Nominato senatore del Regno, non fece mistero (il suo epistolario è
chiarissimo) di annoiarsi. Non potendo dimettersi, andava a palazzo Madama il
meno possibile. In effetti, solo la Chiesa (quale che fosse la confessione)
veniva tenuto in maggior spregio delle politica: si pensi al ruolo del Grande
Inquisitore in “Don Carlo” e dei Sacerdoti in “Aida”; nello stesso “Nabucco” il
vero “cattivo” è il Grande Sacerdote di Belo. In breve, la partecipazione di
Verdi al movimento di unità nazionale fu sostanzialmente passiva, non come
quella di Richard Wagner, rivoluzionario e nazionalista, che sin dalle prime
opere (si pensi a “Lohengrin”) vagheggiava un nuovo e invincibile impero
germanico. I suoi melodrammi vennero, però, letti come espressione risorgimentale
da quella borghesia che andava a teatro, ne finanziava l’operatività ed era
l’anima del movimento.
Poco importa che alla prima alla Scala nel 1842 “Va’ pensiero”
ricevette applausi di cortesia mentre il pubblico si spellò le mani all’inno
finale a Dio (sebbene Verdi fosse un dubbioso più che un credente). Eppure,
nell’immaginario, “Va’ pensiero” viene ancora oggi letto come simbolo
del Risorgimento, uno dei due periodi peraltro – l’altro è il Seicento a
Venezia – in cui in Europa la lirica si finanziò con le proprie gambe, ossia
con i proventi della biglietteria e il supporto dei “palchettisti”.
Una delle
novità salienti di questa nuova produzione è l’ambientazione. La scombinata
vicenda del libretto di Temistocle Solera viene attualizzata. Siamo al giorno
d’oggi tra le rovine di una città distrutta durante una guerra tra fazioni (più
che Nazioni) avverse. Non ci sono segni di una Babilonia dal film hollywoodiano
ma macere, fumo (forse di battaglie o di attentati) e un cielo buio e scuro.
Gli ebrei vestono panni trasandati ma da civili. I loro avversari
sembrano milizie di gruppi terroristi più che un esercito organizzata. La loro
guida (Abigaille) sembra una strega malvagia e sanguinosa. Ci sono buone
intuizioni; ad esempio Va Pensiero viene cantato dietro i
reticolati di una prigione. Ma anche molti punti irrisolti.
‘Nabucco’ è
soprattutto musica, anzi voci, dato che, come in numerose opere verdiane del
periodo, la scrittura orchestrale è piuttosto semplice. La concertazione è
affidata a John Fiore (bacchetta frequente di teatri di repertorio o di
semi-repertorio come il Metropolitan di New York); puntuale e diligente ma
senza approfondimento di particolare livello. Di altissimo pregio , invece, il
coro diretto da Roberto Gabbiani.
Tra le voci
eccellono Luca Salsi (Nabucco), Csilla Boross (Abigaille), Vitalij Kovaljow
(Zaccaria) e Alisa Kolosowa (Fenena). I primi due sono veterani dei rispettivi
ruoli : Salsi lo ha cantato a Roma con la concertazione di Muti, la Boross è un
buon soprano drammatico di coloratura, Kovaljow un basso profondo della scuola
dell’Europa orientale e Kolosowa un mezzo soprano usa al ‘belcanto’.
Antonio Corianò è un bravo tenore ‘spinto’, ma non è un vero ‘belcantista’. A
riguardo, è utile notare che Gustav Kuhn prima e Riccardo Muti, poi, hanno
riproposto , con successo, ‘Nabucco’ non come melodramma di metà Ottocento ma
come ultima opera ‘ belcantista’ di Verdi.-
Teatro pieno
alla seconda replica (su cui si basa questa recensione) ed applausi calorosi.
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