Cosa si dice all’estero del
Movimento 5 Stelle
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L’articolo The
Five Star Question nel numero del settimanale The Economist in
edicola è stato sintetizzato da numerosi quotidiani italiani come un segnale di
diffidenza del contesto internazionale nei confronti del M5S e dei suoi
successi elettorali a Roma ed a Torino (e non solo). Gli stessi quotidiani
avrebbe fatto bene a riportare anche i commenti, nettamente più positivi, de The
New York Times International e anche di The Nation, il settimanale
per eccellenza dei conservatori anti-Trump, americani.
Premetto di
non essere né iscritto al M5S e di avere avuto un unico contatto, per fini
puramente istituzionali: in particolare, con l’On. Di Maio, nella mia veste di
Consigliere del CNEL, al fine della presentazione alla Camera del ‘Rapporto sul
Mercato del Lavoro’. Probabilmente per scarsa conoscenza della lingua inglese,
i giornalisti che hanno letto The Economist e si sono affrettati e riferirne,
non hanno carpito il senso dell’articolo, essenzialmente un senso di curiosità
nei confronti di un movimento giovane e composto in gran parte di giovani che
superano gli steccati tradizionali di destra e sinistra, ed i loro cugini il
centro-destra ed il centro-sinistra.
Lo hanno
espresso meglio The New York Times International e The Nation. In
discussione con amici americani – ho vissuto più di tre lustri a Washington-
l’interesse è non solo nel superamento degli steccati tradizionali ma anche
nella ‘qualità’ dei parlamentari, utilizzando le categorie dei Premi Nobel
Spence e Becker: l’alta presenza di laureati (l’83% rispetto al 20% del Pd),
l’importanza data alla famiglia ed all’avere figli, l’autoriduzione degli
emolumenti per destinare il saldo a finalità sociale, il limite a due mandati
parlamentari.
Non sta
certo a me tessere lodi o critiche di un movimento che conosco solo attraverso
quanto leggo sulla stampa. Tuttavia, credo sia utile sottolineare che
all’estero il M5S viene visto come una leva significativo nel possibile
ricambio di un ceto fatto di politici a tempo pieno, privi spesso non solo di
titoli di studio ma anche di esperienze professionali, con idee decrepite anche
quando sono anagraficamente giovani, poco capaci nel rimettere in moto la
macchina economica del Paese e dell’offrire prospettive non estemporanee alle
nuove generazioni.
È una sfida
che i partiti tradizionali devono sapere cogliere con urgenza. Per non finire
presto nei libri di storia e nelle teche dei musei.
25/07/2016
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