SPILLO/ Investimenti, la
"falsa soluzione" ai problemi dell'Italia
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lunedì 18 luglio 2016
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NEWS Economia e Finanza
La tragedia
ferroviaria avvenuta la settimana scorsa in Puglia dovrebbe avere, quanto meno,
l'effetto di porre il problema delle infrastrutture del Paese al primo posto
all'ordine del giorno dei lavori di Governo e Parlamento. Il dibattito non è
mancato nel periodo in cui la spesa pubblica in conto capitale è crollata dal
3,5% del Pil negli anni Ottanta, al 2,5% alla fine degli anni Novanta, e a meno
dell'1% negli ultimi anni. E i tentativi di "project financing", con
l'apporto di investitori privati, hanno riguardato in modo puntiforme
unicamente alcuni settori (quali i beni culturali). Il dibattito è stato,
tuttavia, unicamente tra esperti della materia e pare non abbia sfiorato
Governo e Parlamento.
La
letteratura in materia è abbondante: tutti gli scritti propongono un aumento
dell'intervento pubblico, una semplificazione delle procedure, una regolazione
più efficace e più efficiente. L'Italia fa parte del Long Term Investment Club
che organizza ogni anno a Roma una conferenza mondiale sul tema. Se si guarda
solo alle iniziative "interne", fondazioni come Fastigi sono molto
attive nell'animare la discussione. Non sembra, però, che ci siano stati
effetti concreti sui processi decisionali della politica.
Negli anni
Cinquanta sono state realizzate numerose grandi opere (tecnicamente
all'avanguardia) perché c'era una volontà politica che si fondava su un ampio
consenso (Governo, Parlamento, imprese e cittadini). Allo stesso modo per
l'opinione pubblica la costruzione di una nuova opera era, per definizione,
un'opportunità. Oggi tale percezione non è scontata. Soprattutto, allora c'era
l'esigenza di costruire l'infrastruttura primaria per lo sviluppo del Paese.
A partire
dalla fine degli anni Novanta, invece, il fabbisogno principale è stato per il
completamento e l'ammodernamento del parco infrastrutture esistente, una
tematica molto più complessa sotto il profilo tecnico, molto più difficile da
valutare sotto quello economico e finanziario e molto meno attraente ai fini
della costruzione e gestione del consenso. Inoltre, il completamento e
l'ammodernamento del parco infrastrutturale hanno dovuto misurarsi con le nuove
esigenze in campo ambientale e le pertinenti normative. Ciò ha cambiato il già
complesso del ciclo di progetto, le sue regole di governance e il modello
normativo di riferimento.
Circa
venticinque anni fa, l'allora direttore del Congressional Budget Office degli
Stati Uniti, Alice Rivkin, aveva sottolineato che in un'economia avanzata e
matura le spese per infrastrutture fisiche differiscono in misura significativa
da quelle che caratterizzano Paesi o regioni in via di sviluppo: nei Paesi
maturi riguardano non tanto la creazione di nuove infrastrutture fisiche,
quanto l'ammodernamento e la manutenzione straordinaria di quelle esistenti.
Ciò comporta non pochi problemi sia sotto il problema dell'analisi economica
(li ho esaminati in altra sede) che sotto quello politico-amministrativo.
A mio avviso
è sul secondo aspetto che poco ci si sofferma e che è al cuore del declino del
parco infrastrutturale italiano. Nonché di tragedie come quella ferroviaria
della settimana scorsa. I ritardi nel miglioramento delle infrastrutture (anche
quando i finanziamenti sono disponibili, come nel caso del tratto ferroviario
Andria-Corato) sono in gran misura dovuti a una normativa complessa (difficile
comprendere perché per le ferrovie in concessione non siano obbligatori sistemi
di controllo tecnologicamente moderni in uso sul resto della rete nazionale),
ma soprattutto aggrovigliata, parcellizzata e dove lo Stato non esercita quella
funzione di supremazia (nel risolvere dispute locali) che ha sempre avuto sin
dai tempi dello Statuto Albertino e che ha mantenuto anche nell'infelice
riforma del titolo V della Costituzione effettuata nel 2001.
Viene
affermato che la riforma della Costituzione proposta dal Governo Renzi
modificando il Titolo V della Costituzione ribadirebbe la supremazia dello
Stato. In effetti, il principio di supremazia non è stato affievolito nel
riforma del 2001. Semplicemente non è stato applicato principalmente per
evitare di mettersi in dibattiti (spesso a carattere locale) che fanno perdere
consensi quale che sia la parte per cui ci si schiera.
Ad esempio,
pochi hanno notato che una delle determinante (forse la principale) dei ritardi
nell'impiego dei finanziamenti europei nelle ferrovie pugliesi sarebbe stato
quello che nel sito web di Ferrotramviaria S.p.A viene chiamato "Il Grande
Progetto" che , se realizzato, "avrebbe dovuto permettere la prima
interconnessione delle reti ferroviarie che inciderebbe in modo strategico sul
sistema della mobilità regionale. Oggetto dell'intervento: il raddoppio per 13
km del binario sulla tratta Corato-Barletta; l'interramento della ferrovia
nell'abitato di Andria per 2,9 km, di cui una zona di circa 460 metri in
galleria, con tre nuove fermate, la realizzazione di parcheggi di scambio intermodali
dislocati in prossimità di 11 stazioni/fermate ferroviarie che offriranno circa
2000 posti auto, l'eliminazione di 13 passaggi a livello e l'interconnessione
con la Rete ferroviaria italiana nelle stazioni di Bari centrale e Barletta.
Sette i comuni interessati direttamente dall'intervento: Barletta, Andria,
Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto e Bari".
Pare
fantascienza: si utilizza ancora il telefono come strumento di controllo, ma si
discute di un "Grande Progetto" di cui manca un'adeguata analisi dei
costi e dei benefici finanziari, economici e sociali e forse anche un
capitolato tecnico dettagliato con relativi computi metrici. Il dibattito
infuocato a livello locale su tale progetto avrebbe ritardato i minimi
ammodernamenti ai controlli. Difficile comprendere perché lo Stato non abbia
esercitato il proprio diritto-dovere di "supremazia" per risolvere la
disputa e dare la priorità all'ammodernamento dei controlli. Non è un problema
di risorse, ma di cultura politica.
© Riproduzione Riservata.
A mio avviso è sul secondo aspetto che poco ci si sofferma e che è al cuore del declino del parco infrastrutturale italiano. Nonché di tragedie come quella ferroviaria della settimana scorsa. I ritardi nel miglioramento delle infrastrutture (anche quando i finanziamenti sono disponibili, come nel caso del tratto ferroviario Andria-Corato) sono in gran misura dovuti a una normativa complessa (difficile comprendere perché per le ferrovie in concessione non siano obbligatori sistemi di controllo tecnologicamente moderni in uso sul resto della rete nazionale), ma soprattutto aggrovigliata, parcellizzata e dove lo Stato non esercita quella funzione di supremazia (nel risolvere dispute locali) che ha sempre avuto sin dai tempi dello Statuto Albertino e che ha mantenuto anche nell'infelice riforma del titolo V della Costituzione effettuata nel 2001.
Viene
affermato che la riforma della Costituzione proposta dal Governo Renzi
modificando il Titolo V della Costituzione ribadirebbe la supremazia dello
Stato. In effetti, il principio di supremazia non è stato affievolito nel
riforma del 2001. Semplicemente non è stato applicato principalmente per
evitare di mettersi in dibattiti (spesso a carattere locale) che fanno perdere
consensi quale che sia la parte per cui ci si schiera.
Ad esempio,
pochi hanno notato che una delle determinante (forse la principale) dei ritardi
nell'impiego dei finanziamenti europei nelle ferrovie pugliesi sarebbe stato
quello che nel sito web di Ferrotramviaria S.p.A viene chiamato "Il Grande
Progetto" che , se realizzato, "avrebbe dovuto permettere la prima
interconnessione delle reti ferroviarie che inciderebbe in modo strategico sul
sistema della mobilità regionale. Oggetto dell'intervento: il raddoppio per 13
km del binario sulla tratta Corato-Barletta; l'interramento della ferrovia
nell'abitato di Andria per 2,9 km, di cui una zona di circa 460 metri in
galleria, con tre nuove fermate, la realizzazione di parcheggi di scambio
intermodali dislocati in prossimità di 11 stazioni/fermate ferroviarie che offriranno
circa 2000 posti auto, l'eliminazione di 13 passaggi a livello e
l'interconnessione con la Rete ferroviaria italiana nelle stazioni di Bari
centrale e Barletta. Sette i comuni interessati direttamente dall'intervento:
Barletta, Andria, Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto e Bari".
Pare
fantascienza: si utilizza ancora il telefono come strumento di controllo, ma si
discute di un "Grande Progetto" di cui manca un'adeguata analisi dei
costi e dei benefici finanziari, economici e sociali e forse anche un capitolato
tecnico dettagliato con relativi computi metrici. Il dibattito infuocato a
livello locale su tale progetto avrebbe ritardato i minimi ammodernamenti ai
controlli. Difficile comprendere perché lo Stato non abbia esercitato il
proprio diritto-dovere di "supremazia" per risolvere la disputa e
dare la priorità all'ammodernamento dei controlli. Non è un problema di
risorse, ma di cultura politica.
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