mercoledì 1 luglio 2009

LIBERALIZZAZIONI: UN TIGRE NEL MOTORE DEL PIL Il Tempo del primo luglio

Di quanto l’Italia può crescere mettendo l’accento sulle liberalizzazioni (specialmente del settore dei servizi) ? Possono essere le liberalizzazioni la leva per la “exit strategy” dalla recessione di cui siamo tutti alla ricerca in questi giorni?
Le liberalizzazioni vengono invocate da lustri, specialmente dai rapporti annuali (come quelli dell’Associazione Società Libera) che da un decennio dimostrano come l’errore di fondo delle denazionalizzazioni all’italiana sia stato quello di privatizzare prima di liberalizzare. “L’Indice delle Liberalizzazioni 2009” appena pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni (IBL) documenta , comparto per comparto, quanto poco è stato fatto e come si sia comparativamente indietro rispetto a gran parte degli altri Paesi occidentali.
Sino ad ora, però, a documenti, litanie e geremiadi è mancato un supporto econometrico che indichi, sotto il profilo quantitativo, se in che misura una strategia di liberalizzazioni può contribuire al benessere ed allo sviluppo del sistema Italia. Un’analisi effettuata all’interno del servizio studi della Banca d’Italia (gli autori sono gli economisti Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisani) fornisce una prima utile risposta. L’analisi riguarda il settore dei servizi ed ipotizza che il “mark up” (ossia la rendita di posizione dovuta a varie forme di oligopolio od a regolamentazioni eccessivamente favorevoli ai produttori, a svantaggio, dunque, dei consumatori) venga non azzerato ma portato alla media prevalente nel resto dell’area dell’euro: ne risulterebbe un aumento di medio e lungo termine del pil dell’11% ed , a regime, del benessere (misurato in termini di consumi del 3,5). Inoltre, metà dell’aumento del pil (6,5%) verrebbe realizzato nell’arco dei primi tre anni. Gli effetti sarebbe maggiori portando il “mark up” alla media dei Paesi Ocse.
In parole povere, una “strategia di uscita” dalla crisi basata sulle liberalizzazioni n(in cima alla lista i servizi pubblici locali) darebbe un impulso alla crescita che da negativa nell’anno in corso e rasoterra nei 15 precedenti subirebbe , per tre anni, un balzo in avanti considerevole. Migliorerebbe, poi, a regime (ossia nel lungo termine) il benessere dei consumatori riattivando la dinamica della domanda interna compressa, tra l’altro, dai bassi salari medi, al netto in busta paga.
E’ una strategia, quindi, da perseguire specialmente in una fase come l’attuale in cui la recessione ha comportato un vero e proprio tracollo delle entrate e sia gli impegni europei sia, soprattutto, il fardello del debito pubblico non consentono una politica di bilancio espansiva, ma, al contrario, si sta cercando dove effettuare nuove riduzioni di bilancio, operando principalmente su spese programmate ma non ancora contrattualizzate (i residui). Una strategia imperniata sulle liberalizzazioni, inoltre, sarebbe anti-inflazionistica e rappresenterebbe una barriera nei confronti dell’uscita dalla crisi (tramite inflazione che pare sia invece programmata oltre-atlantico).

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