Troppo o troppo poche le circa 300.000 consulenze registrate nella pubblica amministrazione nel 2008? Nella cifra aggregata c’è di tutto un po’- incarichi di una settimana per pochi euro e laute collaborazioni che si protraggono anche per lustri. Parte dei “consulenti” possono essere stati ingaggiati per motivi particolaristici , anche di mera affinità politica, piuttosto che per esigenze specifiche che non si sarebbero potuto soddisfare unicamente facendo ricorso al personale di ruolo della pubblica amministrazione. E’ concettualmente errato sotto il profilo dell’analisi, prima ancora che ingiusto ed ingiustificato fare di tutt’erba un fascio. E’ più utile analizzare le determinanti del fenomeno al fine d’individuare antidoti che non siano come le grida di manzoniana memoria.
A mio avviso, le determinanti principali sono due : a) il blocco alle assunzioni; e b) il familismo che ha portato a vere e proprie “dinastie” all’interno di amministrazioni. Il blocco alle assunzioni dura ormai da circa tre lustri. Non ha frenato la crescita del pubblico impiego o della spesa per stipendi e salari, ma ha provocato un invecchiamento non solamente della dirigenza pubblica (oggi mediamente la più anziana in Europa) ma anche degli impiegati con compiti tecnici ed amministrativi. In tale arco di tempo, c’è stata una vera e propria rivoluzione tecnologia ed organizzativa a cui i corsi di formazione on-the-job non possono sopperire che in parte limitata. E’ stata una misura dannosa; per limitarne i danni si è fatto ricorso alle consulenze. Lo svecchiamento della dirigenza , previsto da una misura proposta dal Ministro della Funzione Pubblica e dell’Innovazione, è un passo essenziale, anche se non necessariamente risolutivo, per prendere di petto il problema. Deve essere , però, accompagnato dal ritorno ad assumere. Con regole nuove.
Svecchiare la dirigenza e tornare ad assumere, tuttavia, richiede una modifica di concorsi. Prassi corporative, baste su cooptazione e favori reciproci hanno comportato a ciò che, riferendosi all’Italia, la rivista scientifica “Public Choice” ha chiamato, in uno dei suoi ultimi fascicoli “International transfer of public sector jobs: a shred of evidence of nepotism”- “trasferimento intergenerazionale di impiego nel settore pubblico- un forte indizio di nepotismo” :” in Italia meridionale chi ha il padre nel settore pubblico ha, se poco qualificato, una probabilità del 44% di trovare un’occupazione nella medesima occupazione del genitore”. Il “trasferimento intergenerazionale” del posto non è necessariamente il modo migliore perché si abbiamo competenze specifiche aggiornate. Basta scorrere gli elenchi di telefono delle amministrazioni (sia delle nobili “carriere speciali” sia dei dicasteri considerati meno prestigiosi sia delle Regioni, delle Province e dei Comuni) per tracciare veri e propri alberi genealogici.
La lunga linea grigia delle consulenze ha tra i suoi pilastri mandrie di elefanti che “tengono famiglia”. Questo è un nodo socio-culturale a cui è difficile trovare rimedi di politica legislativa. Anche il combinato disposto di procedure concorsuali più moderni e divieti espliciti all’impiego di consanguinei nella stessa amministrazione (in vigore, peraltro, in quasi tutte le organizzazione ma in Italia ritenuto da alcuni giuristi addirittura incostituzionale) sarebbero mosse nella direzione appropriata.
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