Roma, 10 lug (Velino) - “Idomeneo, re di Creta” è la seconda opera in programma al Festival di Aix en Provence. Viene presentata nella versione approntata da Mozart per Vienna nel 1786, che, a quel che si sa, non andò mai in scena. E’ piuttosto differente dalle edizioni viste e ascoltate di recente in Italia: il ruolo di Idamante (giovane principe cretese), originariamente scritto per un castrato, è riscritto per un tenore leggero; viene inclusa un’aria per violino che è un vero splendore; vengono aggiunte danze finali. Lo spettacolo (in scena in Provenza sino al 17 luglio) sarà a Brema a fine agosto e a Salisburgo in inverno. Dura complessivamente circa tre ore e mezza con un intervallo. Nel teatro in musica di Mozart, “Idomeneo” ha avuto un lungo periodo di oblio. Dopo una tornata di rappresentazioni a Monaco nel 1781 e la revisione eseguita per Vienna, l’opera di fatto sparì dai repertori. Nell’Ottocento, veniva rappresentata solo in Germania e tradotta in tedesco dalla versione originale in italiano. Fu quel genio di Richard Strauss a riproporla nel Novecento. Soltanto negli ultimi quindici anni, e in particolare dal Duemila, è entrata tra i lavori mozartiani rappresentati con frequenza nei teatri italiani. Eppure da molti viene considerata il capolavoro assoluto di Mozart per il teatro: l’opera in cui più precorre i tempi sotto il profilo musicale e nella quale svela meglio, al tempo stesso, il proprio credo politico e le sue nevrosi più intime.
Il libretto, apparentemente una parabola edificante, del modesto abate Gian Battista Varesco è di stampo metastasiano. Quindi, già rétro quando venne scritto. Di ritorno dalla guerra di Troia, Idomeneo, re di Creta, nel corso di una tempesta marina, promette a Nettuno di sacrificare la prima persona che incontrerà all’approdo. Questi è il principe reggente, l’avvenente Idamante, suo figlio, conteso tra la troiana Ilia e la greca Elettra ambedue vogliose di portarlo sotto le lenzuola prima e all’altare poi (le donne mozartiane, va ricordato, sono tutt’altro che fragili). Per amore paterno, il re non mantiene la promessa. Nettuno invia un mostro che minaccia di divorare tutti i cretesi. Idamante, per amor di patria, lo uccide, ma i sacerdoti reclamano il sacrificio. Il giovane principe è pronto a farsi sgozzare. Mentre Idomeneo sta per farlo, Ilia si sostituisce a Idamante e chiede di essere immolata al posto suo. Nettuno perdona tutti; Idamante ascende al trono coniugato a Ilia; Elettra si dispera in isterica follia, mentre si celebra il nuovo re.
Come riuscì da questo pasticcio un 24enne come Mozart, in procinto di lasciare un comodo impiego a Salisburgo per una dura scoperta del mondo, a tirare fuori un capolavoro sommo? Neanche nella più nota trilogia dapontiana (“Nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Così fan tutte”), il compistore austriaco ritrovò la compattezza musicale di “Idomeneo”. Mai la musica per teatro di Mozart, neanche nelle ultime opere (“Il flauto magico” e “La clemenza di Tito”), ebbe un’orchestrazione, al tempo stesso, così complessa e smagliante, nonché parti vocali così innovative, quali il grande quartetto del terzo atto, in cui si fondono un recitativo secco, un duetto, un recitativo accompagnato e un concertato a quattro voci, oppure l’ultima aria di Elettra in cui si rompe la consueta divisione in numeri. Per un quartetto analogo si sarebbe dovuto aspettare il “Rigoletto” circa 70 anni più tardi e per un’aria simile si deve giungere quasi all’ultimo Giuseppe Verdi o a Richard Strauss.
Ci si chiede spesso cosa abbia portato Mozart a una vetta così alta partendo da un libretto convenzionale di “opera seria”, pur se fortemente marcato dalla rivoluzione gluckiana allora in corso e dai canoni della “tragédie lyrique”. Al giovane adulto, che componeva “Idomeneo”, stava stretta la cappa protettiva del padre. Aveva, inoltre, una vita sentimental-erotica complicata ed era già in cammino verso la massoneria. In quell lavoro, quindi, riversò e sublimò le proprie tensioni interiori, sia quelle nevrotiche che le politiche. Nella partitura abbiamo le nevrosi dei rapporti con il padre-padrone Leopoldo nell’interazione tra Idomeneo ed Idamante; delle relazioni anche sessuali con le donne nel triangolo Idamante-Ilia-Elettra (Mozart – rivela l’epistolario – aveva sotto le lenzuola gusti non convenzionali, al limite dall’essere considerati devianti; del nesso con Dio (il burrascoso rapporto tra Idomeneo e Nettuno). In “Idomeneo”, dette alle proprie nevrosi uno spessore universale e atemporale, tanto che se ne sono visti allestimenti con scene e costumi di epoca bonapartiana e anche da Secondo dopoguerra.
Sotto il profilo politico, il 24enne Mozart aveva già le idee chiare. Non un progressista, come per decenni ha scritto una critica impostata ideologicamente e poco documentata sotto il profilo musicale e storico. Neppure, nel contesto dell’epoca, un “neocon” illuminista. Era un conservatore bello e buono che adorava l’armonia della monarchia assoluta (non per nulla si iscrisse alla loggia più vicina alla Corte), aveva pregiudizi vagamente razzisti (i “turchi” del “Ratto dal Serraglio”, Monastatos de “Il flauto magico”), avvertiva ma non approvava la forza delle donne (forse anche a ragione delle sue preferenze di letto) e in un solo lavoro (“Le nozze di Figaro”) espresse un punto di vista modernizzatore, con la “doppia rivoluzione” delle donne e della servitù, a ragione, però, più del libretto e della commedia da cui è tratto che della musica.
Alcune considerazioni sull’“ Idomeneo” allestito al Festival di Aix, affidato all’ancor giovane e sempre dissacrante Olivier Py, con la direzione musicale di Mark Minkowski (per la quarta volta alle prese con questa partitura mozartiana) e i suoi Musiciens du Louvre (il coro è quello della Radio di Berlino). Il lavoro ha suscitato qualche protesta dei mozartiani che si attendevano uno spettacolo tradizionale. L’“opera seria” è attualizzata ai giorni nostri, la scena riempita da macchine tecno-barocche in continuo movimento e mutamento, da danzatori-acrobati principalmente uomini ma, a differenza di altri spettacoli di Py, coperti dalla cintola in giù. All’apologo viene dato un taglio politico: il principe si pone alla guida di schiavi troiani (sulla scena sono multi-etnici: ossia africani, arabi, ebrei). Si giunge a una nuova armonia, anche tra etnie differenti, quando, placati gli Dei, il giovane prendere il potere e tutta la città esplode in una danza acrobatica davvero spettacolare.
Nelle riprese dello spettacolo, varrebbe la pena affinarlo, non tanto per toglierli la carica politica, quanto per moderare il moto perpetuo di scene, specchi, mimi, ballerini e cantanti-attori, che distoglie da aspetti musicali di pregio. I Musiciens du Louvre, guidati da Minkowski, mettono in risalto le finezze della partitura: stupenda la sinfonia e l’aria di Idamante per violino solo, una rarità di solito assente nelle edizioni italiane. Tra gli interpreti da menzionare Yann Beuron (Idamante), giovane tenore lirico noto in Francia, Germania e Usa ma non in Italia: eccezionale nei “pianissimo” e nel canto a “mezza voce”. Richard Croft (Idomeneo) è un tenore drammatico sperimentato particolarmente apprezzabile nel registro di centro. Xavier Mas, terzo tenore in quest’opera, è un Arbace al tempo stesso lirico e virile. Nei ruoli femminili, spicca la delicata Ilia di Sophie Karthäuser (anche lei giovane e poca nota al di fuori del circuito Francia-Benelux-Germania). Mireille Delunsch, il soprano drammatico più amato dai francesi, è un’Elettra più assatanata (per il bel Idamante) che isterica.
(Hans Sachs) 10 lug 2009 10:56
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