giovedì 2 luglio 2009

UNA NUOVA STAGIONE DI RIFORME Formiche Luglio

Questa lunga estate calda 2008 (contrassegnata da elezioni europee ed amministrative, oltre che da una crisi economica di cui si avvertono i riflessi sul tasto più dolente – l’occupazione - , nonché da polemiche personalistiche) potrà probabilmente essere ricordata come quella della preparazione di una nuova stagione riformatrice: gli esiti elettorali e le polemiche personali verranno presto dimenticate e la crisi, con i suoi pesanti contraccolpi occupazionali, potrà essere il grimaldello di riforme; se ne è toccata con mano la premessa già a fine maggio , alle assemblee della Confindustria e della CISL (dove si è in pratica riaperto il tavolo della “madre di tutte le riforme”, in tema di welfare, quella della previdenza) nonché nel dibattito (al di là di accenti fuorvianti) sul riassetto istituzionale (a cominciare dal bicameralismo perfetto e dal ruolo del Presidente del Consiglio).
La crisi finanziaria ed economica – ricorda Marco Patriarca nel suo saggio , scritto quando le deflagrazione del subprime stava scoppiando (e non se ne prevedevano ancora le complesse ramificazioni), ha reso tutti più consapevoli di regole autorevoli ed applicate con rigore per porre l’economia mondiale su un tracciato di lungo periodo di crescita sostenibile. Ancora più eloquenti le 350 pagine a stampa fitta in cui Bruno Costi, Presidente del Club dell’Economia, ripercorre, con pazienza e cura certosina, le proposte di politica economica presentate in Italia nei primi dieci anni del XXI secolo, quelli che secondo gli auspici degli euro-entustiasti sarebbero stati contrassegnati, grazie all’unione monetaria ed alle misure previste dal Trattato di Maastricht per promuovere riforme, da tassi di cresciti attorno al 5% ed invece, dopo un periodo di crescita rasoterra, sono slittati nella più grave recessione del dopoguerra. Costi sottolinea acutamente come il momento della proposta politica (quello per intenderci del Dpef) sia stato all’insegna “delle buone intenzioni rispetto a quello del realismo sovente consegnato alla legge finanziaria ed al bilancio annuale”. A livello di policy formation è essenziale colmare il divario tra “buone intenzioni” e “realismo” ed avere meccanismi che comportino decisioni spedite quale imposte (ci piaccia o non ci piaccia) dal forte grado di integrazione economica internazionale che caratterizzerà il mondo del “dopo-crisi”.
Sotto il profilo economico, la crisi non ha acuito l’esigenza di rimettere mano ai sistemi previdenziali solamente in Italia, i lavori di Nicholas Barr della London School of Economics, Peter Diamond del Massachusetts Institute of Technology, Ondrej Schneider a lungo all’Ocse ed ora alla Charles University di Praga tracciano i percorsi da effettuare in vari Paesi. Integrano e completano, quindi, l’analisi di Bruno Costi che dedica particolare attenzione alla riforma della riforma previdenziale varata in Italia dalla XIV Legislatura ed al contro-riforma pensionistica messa in atto, invece, nella XV Legislatura. d A casa nostra, siamo alle prese con un vero e proprio paradosso: dopo 17 anni dalle prime riforme della previdenza (quelle che presero il nome dall’allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato) siamo tra i Paesi Ocse quello che destina maggiori risorse al sistema previdenziale pubblico (oltre 15% del pil nel 2008) ma la cui platea di pensionati è caratterizzata dalla più alta proporzione di persone “al minino”, un minimo inadeguato, secondo i dati Istat, per la mera sussistenza.
Non c’è una ricetta puntuale universalmente applicabile. Le simulazioni per differenti Paesi indicano però alcuni elementi da cui non si potrà eludere (quali che siano le specifiche tecniche) nel rimettere in moto il cantiere italiano delle riforme previdenziali: l’aggiornamento dell’età pensionabile (per tenere conto delle dinamiche demografiche), la revisione del tasso di copertura (ossia della percentuale dell’ultimo stipendio con cui si va in pensione), il rialzo dei trattamenti più bassi. I primi due elementi sono essenziali per attuare il terzo. Avere individuato questi tre punti è già un primo passo significativo per facilitare il dialogo tra parti sociali e tra queste ultimi ed le autorità di politica economica.







Per saperne di più
Barr N, Diamond P "Reforming Pensions" MIT Department of Economics Working Paper No. 08-22
Costi B. “Alla Ricerca dell’Exconomia Perduta- Le proposte di politica economica dal 2001 al 2008 I Quaderni dell’Economica Italiana, Unicredit 2009-
Patriarca M. “Come Riformare i Riformatori – Cosmopolitismo e Responsabilità Internazionale “ Guida 2008
Schneider O "Reforming Pensions in Europe: Economic Fundamentals and Political Factors"CESifo Working Paper Series No. 2572

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