Il Documento di politica economica che, salvo sorprese dell’ultima ora, andrà oggi all’esame del Consiglio dei Ministri , è, nelle intenzioni del Governo, la cornice della politica per la ripresa che verrà declinata, nei suoi aspetti principali, nella legge finanziaria di fine settembre.
Una politica economica le cui grandi linee sono state già anticipate in alcune parti importanti del decreto legge la cui conversione è all’esame delle Camere. Il Documento sostituirà il Dpef, che dopo venti anni va in pensione. Si presenta – a quel che è dato sapere – molto più snello della forma assunta dal Dpef dal 1996 in poi e molto più simile alle intenzioni della riforma del 1987. Specialmente in una fase, come l’attuale, caratterizzata da un alto grado d’incertezza, il documento intende essere solamente un quadro di riferimento, una tavola di bordo sulla cui base operare facendo gli aggiustamenti del caso (in base all’evoluzione della situazione internazionale e delle sue implicazioni su quella interna).
In questo contesto è particolarmente importante sottolineare non solo l’alto grado di condivisione riscontrato negli incontri con le parti sociali – e l’apertura della stessa Cgil ad un riassetto della normativa previdenziale - ma anche il proposito di guardare non solamente alla finanza pubblica nel 2010 ma all’intera legislatura e, quindi, a riforme strutturali ed istituzionali. Lo “spirito de L’Aquila” ha, senza dubbio, fornito un impulso essenziale.
La situazione attuale dei conti pubblici è pesante: il rapporto tra indebitamento delle pubbliche amministrazioni e pil, previsto per il 2009, supera il 5%, ma sarebbe stato attorno al 3% ove non ci fosse stata la recessione mondiale. Il proposito è di riportarlo al di sotto del 3% entro il 2012 utilizzando non la leva tributaria ma la riduzione della spesa e l’aumento del pil. Veniamo a questo elemento: secondo le stime dei 20 maggiori istituti econometrici internazionali (tutti privati nessuno italiano), la ripresa dovrebbe iniziare la primavera prossima e segnare complessivamente per l’Italia un incremento del pil dello 0,4% nel 2010. E’ fattibile accelerare questo tasso di crescita? Un’analisi del servizio studi della Banca d’Italia afferma che basterebbe una decisa liberalizzazione dei servizi per far fare un vero e proprio balzo in avanti al pil, un aumento del 6,5% nell’arco di tre anni. E’ questa una leva su cui puntare oltre al rilancio dell’export, la cui determinante chiave, però, è la domanda internazionale.
I dati, nel dettaglio. Il Pil italiano registra quest'anno una contrazione del 5,2% ma la crisi mostra segni di attenuazione e negli ultimi mesi si sono ripetuti «segnali non negativi», tanto da ipotizzare la «ripresa dal 2010», con il Pil che guadagna lo +0,5%. È il quadro macro-economico illustrato nel Dpef presentato dal governo, dove si sottolinea che «negli ultimi due-tre mesi si sono ripetuti segnali non negativi, per l'economia mondiale e per quella italiana, e le tensioni sui mercati finanziari si sono gradualmente allentate. L'incertezza sulle prospettive economiche rimane elevata, ma si sta evidenziando un'attenuazione delle spinte recessive». Nel documento di programmazione economica e finanziaria si prevede che il deficit/Pil (spesa pubblica non coperta dalle entrate) aumenterà quest'anno al 5,3% (dal precedente 4,6%), per poi scendere al 5 nel 2010. Ma il dato migliora di molto se si considera il valore al netto delle misure una tantum e della componente ciclica, cioè dall'andamento dell'economia: il deficit strutturale si attesta infatti al 3,1% nel 2009 e al 2,8% nel 2010, per arrivare al 2,2% nel 2013. Sempre nelle previsioni del governo, il debito crescerà nel 2009 al 115,4% del Pil, per superare la soglia del 118% nel 2010.
Si può fare di più con la politica di bilancio, ossia allentando la spesa? Di fronte a questa situazione, potrebbe essere forte la tentazione di uscirne con un’ondata d’inflazione, l’imposta più iniqua poiché colpisce soprattutto i redditi più bassi. A tale riguardo è importante sottolineare come per bocca del Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Governo abbia inteso rassicurare che non verranno ridotti stanziamenti alla spesa sociale (specialmente alla sanità ed alla formazione di capitale umano).
Dove effettuare, quindi, i risparmi? L’area su cui tutti guardano è quella dei “residui passivi” accumulati in numerosi Ministeri nonché in altre amministrazioni (Regioni, Province), spesso in “contabilità speciali”. E’ operazione già effettuata nel 1993 (Governo Amato) e nel 1996 (Governo Prodi). Occorre, però, comprendere che l’accumularsi di “residui passivi” non è unicamente il risultato di cattiva gestione ma anche del fatto che il bilancio dello stato da triennale è in pratica diventato annuale ; le amministrazioni, non avendo un quadro di riferimento neanche su tre anni, celano spesso disponibilità in “contabilità speciali” somme che non riuscendo ad utilizzare nel bilancio attuale temono di perdere. Quindi, ad una riduzione dei “residui” dovrebbe corrispondere un ripristino del bilancio triennale. Ma di questo, e di altro, si parlerà nella preparazione dettagliata della finanziaria settembrina.
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