In questi giorni, si riprende a parlare di dialogo sociale e di concertazione – due termini che, per quanto mai dimenticati e spesso pronunciati da alcune forze di governo, sembrava finiti là dove stanno quelle vecchie signore che hanno avuto tempi molto migliori, in un passato, però, non molto recente. La spinta è la consapevolezza che le misure approntate e approvate dall’ultimo Consiglio dei ministri, per quanto utili (potranno contribuire alla crescita del Pil per un 0,3-0,5 nei prossimi 12 mesi), non sono il colpo d’ala che il paese si attende. E che tale colpo d’ala non potrà essere dato senza la partecipazione attiva di tutto il corpo sociale.
Della “concertazione”, definita 15 anni fa “un metodo per governare” in un libro del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ci sono numerose accezioni. Occorre tenerlo presente farne un breve bilancio e delineare come può essere utile nel contesto attuale. Un contesto – si badi bene – molto differente da quello in cui l’Italia era ancora un’economia relativamente chiusa alla concorrenza di paesi a demografia giovane, alta produttività e costi di produzione bassi.
Il termine viene dal francese, che, a sua volta, lo ha mutuato dal tedesco. Si riferisce ad accordi tra parti sociali (i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavori) e tra questi ultimi e la mano pubblica per il raggiungimento di determinati obiettivi di politica o aziendale o settoriale o generale. L’Italia ha avuto una sua profonda esperienza di “concertazione”, sui generis, nel periodo tra le due guerre mondiali – con l’economia “corporativa”, studiata con grande attenzione, all’epoca, da economisti e sociologi di varie parti del mondo. Negli anni '60 e '70, non si parlava di “concertazione”, ma ci fu la lunga fase degli “accordi interconfederali”, spesso troppo prontamente tradotti in legge dal Parlamento: un frutto ne fu la normativa sulla previdenza del 1968-69 che, nel giro di pochi anni, ci regalò uno dei sistemi previdenziali più squilibrati (ed uno dei debiti previdenziali più alti in rapporto al pil) al mondo. Gli anni '80 sono l’epoca della “concertazione” propriamente quando il metodo è stato utilizzato per accompagnare il percorso di rientro dall’inflazione e di riassetto della finanza pubblica: il suo momento più alto è stato “l’accordo di San Tommaso” (dal nome del santo patronimico del giorno il cui è stato concluso), il “patto sociale” del 23 luglio 1993.
A poco più di 15 anni da allora, si può dire che il “patto sociale” ha avuto un ruolo chiave nella riduzione degli aumenti dei prezzi grazie, principalmente, all’introduzione del concetto di “inflazione programmata” come guida per la politica economica e per le relazioni industriali, mentre si è rivelato caduco in molti altri aspetti (la contrattazione collettiva a più livelli, la consultazione nella definizione dei documenti di politica economica). Si dovrebbe aggiornare alle nuove esigenze il “patto sociale” del 1993? Non proprio. Occorre guardare più indietro per andare più avanti. Alla metà degli anni '90 a un rapporto dell’Organizzazione internazionale del lavoro (un’istituzione non certo di parte e comunque distinta e distante dalle nostre beghe) differenziava nettamente tra “concertazione difensiva” e “concertazione aggressiva o positiva”.
La prima cerca di tutelare l’esistente, ove non di guardare al passato; la seconda era, invece, rivolta all’avvenire. Nel documento si sottolineava come le relazioni industriali avrebbero dovuto affrontare le sfide poste dalla trasformazione economica, l’innovazione e l’integrazione economica, pena il pericolo di diventare irrilevanti. Il primo e più significativo patto di “concertazione aggressiva o offensiva” in Europa è stato l'"accordo di Wasenaar" (dal nome della località dove è stata stipulata) conclusa in Olanda nel lontano 1984. I Paesi Bassi erano afflitti da quello che gli economisti chiamavano “il mal olandese” – bassa crescita dovuta al flusso di valuta, e sovrapprezzamento del cambio, derivante dal gas naturale del Mare del Nord. L’accordo comportò un nuovo disegno del mercato del lavoro e dello Stato sociale (in senso liberale) di fronte alla constatazione che, ad esempio, operando unicamente sull’età legale per la pensione (senza toccare contributi e livello degli assegni rispetto alle ultime remunerazioni) la si sarebbe dovuta portare a 80 anni.
Possiamo andare verso la “concertazione aggressiva”? Il documento sullo stato sociale di recente presentato dal governo sembra dire di sì. Lo ha riconosciuto anche un sociologo, esperto di relazioni industriali, da sempre vicino alla sinistra, come Arris Accornero. Anzi è solamente tramite la “concertazione aggressiva” che si può, da un lato, superare quel clima di sfiducia che frena l’economia con alti tassi di transazione ed elevata avversione al rischio e, dall’altro, ricostruire le regole da quelle interne (come la definizione dello “statuto dei lavori”) a quelle internazionali (quali le global rules per regolazione e vigilanza finanziaria). Tuttavia, ciò comporta per le parti sociali (principalmente per parte dei sindacati) passaggi difficili: acquisire la consapevolezza che la difesa dell’esistente non solamente perde sempre ma è spesso a svantaggio dei più deboli. Aiutiamo chi è più reticente a fare questi passaggi. A traversare il fiume chi è rimasto in mezzo al guado, non si rende conto che la vecchia sponda non c’è più e non vede con chiarezza l’approdo.
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