giovedì 2 luglio 2009

RILANCIARE “LISBONA” SI PUO’ FARE RIPARTENDO DAL PROGRAMMA PRESENTATO DALL’ITALIA, DSYNTHESIS giugno

Vi ricordate i “Protocolli di Lisbona” così denominati in quanto formulati ad un Consiglio Straordinario dei Capi di Stato e di Governo dell’UE (allora ancora a 15) tenuto sulle rive del Tago (il Portogallo aveva la Presidenza di turno dell’Unione) nel marzo 2000? I documenti esaminavano la crescita economica verificatasi nelle principali aree della comunità internazionali negli Anni Novanta, giungendo alla conclusione – per mutuare da un libro recente di Mario Baldassarri- che l’Europa era stata “la bella addormentata” in un mondo sempre più caratterizzato dalla “formica cinese”, dalla “cicala americana” e dall’”aquila russa”. La “bella addormentata”, in particolare, non aveva sfruttato (come avrebbe dovuto) le tecnologie della comunicazione e dell’informazione per ridurre drasticamente le distanze di tempo e di spazio ed aumentare competitività e produttività. In campi specifici come la banda larga, la diffusione di Internet, l’innovazione di processo e di prodotto si era rimasti pericolosamente indietro. In questo contesto, ed in questo spirito, il Consiglio Europea varava un piano ambizioso, incentrato sulla tecnologia, mirato a fare diventare entro il 2010 l’Europa l’area più dinamica del mondo.
Siamo alla vigilia del 2010: nella loro ultima tornata di previsioni (diramata il 23 maggio), i 20 maggiori istituti econometrici internazionali (tutti privati, nessuno italiano) anticipano che l’anno prossimo l’UE esporrà una crescita appena dello 0,3%, rispetto all’1,4% degli Usa , allo 0,6% del Giappone, al 2% della Russia, al 7% della Cina ed al 6% dell’India. A fronte di queste cifre, ciò-che-resta-degli-eurocrati di Bruxelles hanno imbarazzo quando si affronta il tema. Cambiano discorso sottolineando la crisi internazionale ed i suoi effetti, da cui però – come affermano le cifre citate – altre aree del mondo stanno uscendo prima e meglio dell’Europa.
La prima fase del programma di Lisbona – lo ha detto il rapporto Koch (dal nome dell’ex- Commissario Europeo Peter Koch) nel 2005 quando è stata effettuata una valutazione del primo lustro d’attuazione dei Protocolli – è stata afflitta da una malattia tipica di Bruxelles: il “mal d’indicatori” (il numero eccessivo di indicatori statistici, spesso di dubbia robustezza, richiesto dalla Commissione alle amministrazioni degli Stati membri al fine di “monitorare” politiche, piani, programmi, progetti e singole misure). E’ stata, quindi, varata una seconda fase che prevedeva una riduzione drastica degli adempimenti burocratici e dei relativi indicatori e la presentazione invece di programmi nazionali basati su 24 linee guida condivise dagli Stati membri dell’UE. Il ruolo della Commissione sarebbe cambiato: da controller a facilitator e coordinator.


L’Italia, infatti, è stata uno dei rari Paesi che ha presentato alla Commissione Europea il “Piano Nazionale per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione” (il PICO, nel gergo comunitario) entro il termine previsto del 14 ottobre 2005. Lo ha fatto con discrezione, quasi con pudore. La discrezione ed il pudore, però, sono stati tali che la stampa e l’opinione pubblica quasi non si sono accorti del PICO (anche in quanto con la preparazione della campagna elettorale infuriava, ed infuria, la più aspra polemica politica su tutti e su tutto). Si tratta, invece, di documento che va letto, studiato e meditato il quanto, quale sarà il risultato delle elezioni politiche (ed amministrative) della prossima primavera, il PICO indica una strada, per molti aspetti al di sopra delle parti, da percorrere per riavviare il motore del sistema Italiana dopo circa tre lustri in cui la crescita è stata rasoterra e si è stati, a lungo, molto vicini alla stagnazione. I prossimi Consigli europei rappresentano un’occasione per ripartire dal PICO per definire una nuova strategia europea per l’innovazione, la crescita e l’occupazione.
Cosa è il PICO e come ha origine? La “strategia di Lisbona” sotto-intendeva una politica di crescita che avrebbe dovuto equilibrare (o meglio ancora controbilanciare) le politiche della moneta e di bilancio iscritte nel Trattato di Maastricht, prima, e nel “patto di stabilità”, poi – ambedue inerentemente restrittive. Dal 2000, lo sappiamo, l’attenzione è stata rivolta agli indicatori del “patto di stabilità” (comunque di più immediato impatto mediatico e politico) invece che alle strategie di trasformazione economica. Sotto il profilo istituzionale, il PICO italiano è stato definito da un Comitato di sei Ministri, coordinati dal Ministro per le Politiche Comunitarie Giorgio La Malfa. Sotto il profilo tecnico, l’anima ed il motore del PICO è stato Paolo Savona, rientrato per l’occasione nella pubblica amministrazione (nella veste di Capo Dipartimento delle Politiche Comunitarie), dove aveva già rivestito (circa un quarto di secolo fa) la carica di Segretario Generale della Programmazione.
Quale il metodo adottato per mettere a punto, in poche settimane, il PICO? Quali i contenuti? E cosa può maggiormente interessare imprese, famiglie ed individui? Oltre a passare al setaccio i capitoli dei bilanci delle pubbliche amministrazioni (ed i loro cassetti) per individuare i progetti effettivamente pronti e cantierabili nelle aree più incisive per la trasformazione tecnologica, l’allora Capo del Dipartimento delle Politiche Comunitarie, Prof. Paolo Savona ha svolto un vasto giro di consultazioni con le parti sociali (tutte le 37 organizzazioni con le quali il Governo di norma dialoga), con le Regioni e con le autonomie locali, nonché con numerosi economisti, al fine individuare cinque obiettivi che l'Italia considera prioritari: ampliare l'area di libera scelta dei cittadini e delle imprese; incentivare la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica; rafforzare l'istruzione e la formazione del capitale umano, nonché accrescere l'estensione dei relativi benefici alla popolazione, specie ai giovani; adeguare le infrastrutture materiali e immateriali; tutelare l'ambiente. Ciascun obiettivo prevede, nel Piano, una dettagliata ricognizione di programmi e progetti puntuali di intervento che spaziano dall'economico al sociale, al tecnologico, alla politica legislativa, alla qualità della regolazione.
In materia di contenuti, il PICO parte dalla constatazione che l’Italia presenta una preponderanza di imprese di piccole e medie dimensioni . Una categoria (principalmente a conduzione familiare) è vulnerabile alla competizione di prezzo, specialmente dai Paesi a bassi salari e bassa tutela sociale. Un’altra (il “made in Italy” di alta qualità) è vulnerabile alle contraffazioni. Sono, inoltre, presenti dualismi territoriali e settoriali accentuati. Infine, il Paese è caratterizzato da modi di soddisfazione delle esigenze di solidarietà tali da incidere sui bilanci delle pubbliche e delle imprese , già peraltro gravate da eccessiva regolamentazione.
Il PICO si articola in due vaste tipologie di strumenti da attivare: provvedimenti a carattere generale i progetti specifici. I primi riguardano : liberalizzazioni, segnatamente nei settori dei servizi; miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione; creazione di un contesto normativo favorevole agli investimenti; valorizzazione della piccola e media impresa allo scopo di accrescere l’utilizzazione da parte loro delle tecnologie digitali, piena valorizzazione del capitale umano, creazione o completamento di reti infrastrutturali, un’incisiva attuazione della politica di seconda europea.
I secondi concernono : a) il completamento del progetto Galileo per una rete satellitare europea; b) la partecipazione ai progetti europei Egnos e Sesame per la gestione del traffico aereo; c) la realizzazione di piattaforme informatiche per la tutela della salute, lo sviluppo del turismo, l’infomobilità, la gestione delle banche dati pubbliche e territoriali; d) l’attuazione di 12 programmi strategici di ricerca nei settori della salute, farmaceutico e bio-medicale, dei sistemi di manifattura, della motoristica, della cantieristica navale e aeronautica, della ceramica, delle telecomunicazioni, dell’agroalimentare, dei trasporti e della logistica avanzata, dell’ ICT e componentistica elettronica e della microgenerazione energetica; e) la creazione di 12 laboratori di collaborazione pubblico-privata per lo sviluppo della ricerca nel Mezzogiorno nei settori della diagnostica medica, dell’energia solare, dei sistemi avanzati di produzione, dell’e-business, delle bio-tecnologie, della genomica, dei materiali per usi elettronici, della bioinformatica applicata alla genomica, dei nuovi materiali per la mobilità, dell'efficacia dei farmaci, dell’open source del software, dell’analisi della crosta terrestre; f) lo sviluppo di 24 distretti tecnologici, che estendono l’esperienza dei distretti industriali italiani a settori ad alto contenuto tecnologico e potenziale innovativo; g) l’ampliamento e l’uso razionale delle infrastrutture nel settore energetico e idrico; h) settori di rilevanza strategica aventi ricadute tecnologiche nei processi produttivi e nel benessere dei cittadini e in condizione di garantire una migliore tutela ambientale, con particolare attenzione alle fonti energetiche alternative.
Il PICO non è un Piano “chiuso”. Oltre a considerare ciò che già è stato fatto in attuazione della strategia di Lisbona, il PICO ha accolto provvedimenti e progetti di pronta attuazione, che incidono una tantum sulla spesa pubblica e sono capaci di attrarre risorse private, ma resta “aperto” ad accogliere nuovi contributi provenienti delle capacità progettuali del sistema economico e politico italiano ed europeo, anche perché il meccanismo di nuovi finanziamenti pubblici è basato sul gettito derivante dalla cessione di attività reali di proprietà dello Stato, secondo una logica di gestione patrimoniale (asset management), e trova attuazione nelle scelte che su queste disponiblità verranno effettuate dal CIPE. Le risorse finanziarie pubbliche messe al servizio del Piano sono in parte già incorporate negli stanziamenti di cassa previsti in bilancio fino al 2005 e in quelli di competenza previsti per il triennio 2006-2008, nonché nelle dotazioni aggiuntive per la politica di coesione comunitaria e, per la parte aggiuntiva, da fondi provenienti dalla cessione di attività reali dello Stato stimati nell’ordine dell’1% del PIL per il triennio di Piano (equivalenti a 13 mld di euro), di cui 3 mld nel 2006. Più importanti di questi dati quantitativi, che rappresentano ormai un mero documento di storia economica contemporanea, è sulk metodo consultativo del PICO e sui suoi risultati attesi che occorre porre l’accento. L’insieme dei provvedimenti e progetti avrebbero dovuto fare avvicinare le spese in ricerca e sviluppo (R&S) all’obiettivo del 3% del pil indicato dalla Commissione Europea. Più significativa appare invece la stima effettuata sull’impatto macroeconomico derivante dall’attuazione del Piano: l’innalzamento del reddito potenziale attuale è valutato nell’ordine dell’1%, con effetti disinflazionistici strutturali stimati in 30 centesimi di punto e un parallelo rafforzamento del potere di acquisto salariale. Il PICO avrebbe indotto un incremento dell’occupazione nell’ordine dei 200 mila posti di lavoro, con una significativa concentrazione tra i giovani.

Subito dopo la presentazione del PICO si è entrati in campagna elettorale, è cambiata la maggioranza parlamentare, si è avuto la più breve legislatura della storia della Repubblica e, subito dopo nuove elezioni, la nuova maggioranza si è trovata alle prese con la crisi finanziaria ed economica mondiale più grave dal dopoguerra e con emergenze nazionali come il terremoto dell’Abruzzo. Il PICO pare coperto da una coltre d’oblio anche al Dipartimento delle Politiche Comunitarie dove è stato preparato.

Tuttavia, mai come ora, è necessario aggiornarlo, riprendendone metodo ed obiettivi ed adattali alla nuova situazione europea ed internazionale. Ed offrirlo all’UE come proposta italiana per rilanciare la strategia definita dieci anni fa a Lisbona. Evitando che la bella addormentata , con il passare del tempo, diventi vecchia e grinzosa.


Giuseppe Pennisi, Vice Presidente del Comitato Scientifico dell’O.S.E.C.O, è Professore emerito della SSPA; insegna attualmente economia internazionale e politica economica europea all’Università Europea ed all’Università di Malta.

Nessun commento: