Roma, 7 lug (Velino) - Il “Ring” (“L’Anello del Nibelungo”) iniziato quattro anni fa in co-produzione tra i Festival di Aix en Provence e di Salisburgo giunge a compimento in questi giorni con la presentazione, nella capitale della Provenza, della quarta e ultima opera della saga: “Götterdämmerung”, ossia il “Crepuscolo degli Dei”. Nelle ultime settimane, sono arrivati a conclusione – sempre con Götterdämmerung – due altre produzioni significative della tetralogia: quella co-prodotta da Firenze e Valencia e quella co-prodotta da Colonia e Venezia. Senza soffermarsi sul raffronto tra i tre “Ring” più importanti di inizio secolo (di altri, come quelli di San Pietroburgo e Lisbona è meglio, per carità cristiana, non parlare), va comunque sottolineato come sotto l’aspetto sia drammaturgico sia musicale, il “Ring” di Aix (dove è in scena sino al 12 luglio) e Salisburgo (dove sarà in scena al Festival di Pasqua) segna una pietra miliare nell’interpretazione drammaturgica e musicale del capolavoro di Richard Wagner. Una pietra miliare che sarà difficile eguagliare. Lo sa bene il sovrintendente e direttore artistico della Scala di Milano, Stéphane Lissner, che ha voluto con forte determinazione il “Ring” per la prossima stagione. Al termine della produzione Aix-Salisburgo, è lecito chiedersi se non sarebbe preferibile portare in Scala questo allestimento piuttosto che approntarne un altro.
Il “Ring” (“L’Anello del Nibelungo”) iniziato quattro anni fa in co-produzione tra i Festival di Aix en Provence e di Salisburgo giunge a compimento in questi giorni con la presentazione, nella capitale della Provenza, della quarta e ultima opera della saga: “Götterdämmerung”, ossia il “Crepuscolo degli Dei”. Nelle ultime settimane, sono arrivati a conclusione – sempre con Götterdämmerung – due altre produzioni significative della tetralogia: quella co-prodotta da Firenze e Valencia e quella co-prodotta da Colonia e Venezia. Senza soffermarsi sul raffronto tra i tre “Ring” più importanti di inizio secolo (di altri, come quelli di San Pietroburgo e Lisbona è meglio, per carità cristiana, non parlare), va comunque sottolineato come sotto l’aspetto sia drammaturgico sia musicale, il “Ring” di Aix (dove è in scena sino al 12 luglio) e Salisburgo (dove sarà in scena al Festival di Pasqua) segna una pietra miliare nell’interpretazione drammaturgica e musicale del capolavoro di Richard Wagner. Una pietra miliare che sarà difficile eguagliare. Lo sa bene il sovrintendente e direttore artistico della Scala di Milano, Stéphane Lissner, che ha voluto con forte determinazione il “Ring” per la prossima stagione. Al termine della produzione Aix-Salisburgo, è lecito chiedersi se non sarebbe preferibile portare in Scala questo allestimento piuttosto che approntarne un altro.
“Götterdämmerung” è l’opera in cui gli Dei sono assenti. Appaiono unicamente nel racconto di una scorata valchiria, nella seconda parte del primo atto, che ne descrive il declino e deperimento. Nella prima scena e nell’ultima compaiono le tre Norme e le Figlie del Reno, archetipi semi-divini. Ma il resto dell’opera (circa sei ore di spettacolo con due intervalli di meno di mezz’ora ciascuna) si svolge esclusivamente tra uomini e donne in lotta per il potere e la ricchezza. Nella produzione Aix-Salisburgo, però, il loro re, Wotan appare vestito da vecchio e stanco “viandante” come personaggio muto nell’ultima scena: assiste a quella fine degli Dei che agogna da tempo. “Götterdämmerung” ha una trama complessa di tradimenti (uno dei protagonisti, Sigrifido, arriva a tradire anche se stesso e di rendersene più o meno conto quando è ormai troppo tardi, in punto di morte dopo che Hagen gli ha ficcato la lancia nella schiena), intrighi di un Palazzo corrotto, scambi di mogli tra adulti semiconsenzienti. L’unico personaggio positivo è Brunilde, che ha perso il suo stato semidivino di valchiria per avere seguito la volontà implicita del padre, il re degli Dei, Wotan, trasgredendone le istruzioni esplicite. Nell’olocausto finale, Brunilde rende il potere politico ed economico alle forze delle natura.
Stéphane Braunschweig (regia e scene), con la collaborazione di Thibault Vancraenenbroek (costumi) e luci (Mario Hwelett) non fornisce una lettura “politica” della saga (quale quelle di Robert Carsen vista di recente a Venezia e la cui primogenitura si deve al due Pizzi-Ronconi alla Scala nel 1974), non prende neanche la strada delle ricostruzioni in cartapesta della Germania mitologica (tipiche del Festival di Bayreuth in Baviera, dal debutto nel 1876 sino alla fine della Seconda guerra mondiale), non offre un’interpretazione filosofica (quali quelle di Wieland Wagner e Adolphe Appia degli anni ‘50 e ‘60), non ci porta né la fantasmagoria de La Fura dels Baus (Firenze-Valencia) né innovazioni velleitarie (tutto il “Ring” in un circo, come a Lisbona, oppure in un manicomio, quale visto in numerosi teatri tedeschi negli anni ’90). Gli archetipi mitologici di Wagner sono, in questa “giornata” conclusiva della saga, uomini e donne, alle prese con le loro passioni.
La scena è composta di tre pareti grigie e una scalinata. L’attrezzeria è fatta di tre sedie, una poltrona in pelle, due letti (essenziali per lo scambio di donne) e alcuni tronchi astratti d’albero: Le proiezioni ci offrono la profondità delle acque del Reno e l’incendio con straripamento finale. Le luci fanno il resto tramite un abile gioco di colori. Sul palcoscenico non solo non ci sono foreste, palazzi reali, fiumi di cartapesta, costumi proto-tedeschi nazisti o stalinisti tedesco-orientali, ma uomini e donne in abiti moderni come i nostri. Ci vuole un grande lavoro di recitazione per rendere in un quadro così spoglio, quasi minimalista, l’intrigo di tradimenti e amori che portano alla fine non solo degli Dei ma anche di un’intera classe dirigente terrena tale da tenere l’attenzione tesa per circa sei ore. Un vero capolavoro di recitazione da parte di cantanti-attori selezionati con cura ed addestrati per mesi in questo “Ring” di cui un editore franco-tedesco-giapponese si è già assicurato i diritti televisivi e di riproduzione in dvd.
L’altra caratteristica fondante del “Ring” del Festival di Aix è l’aspetto musicale. Nel golfo mistico non c’è né l’orchestra della Fenice caratterizzata da circa un ventennio da alti e bassi, né quella del Maggio Musicale, che ha perso lustro da quando Mehta non è più il suo direttore stabile, né un’orchestra per quanto di altissima qualità, da teatro d’opera, ma una formazione sinfonica che, di rado, entra nel comparto del teatro in musica: i Berliner Philarmoniker, guidati da Sir Simon Rattle (il loro maestro stabile). “Götterdämmerung” diventa, quindi, una smisurata sinfonia sull’umanità alla ricerca di un nuovo e migliore futuro. Una meraviglia di colore, di sfumature, di virtuosismo in cui il sinfonismo continuo di Wagner evoca suoni intimi di cameristica. Dal suono chiaro e leggero, quasi etereo, si scivola, dolcemente, alle tonalità nere, tragiche. Solamente Georg Solti aveva tentato, con successo, un approccio analogo al “Ring”. Ineguagliabile e indimenticabile il “sì bemolle” con cui si chiude il ciclo, pregno di speranza per un’umanità migliore. Un dettaglio: ci sono sei arpe al centro dell’orchestra, come prescritto dalla partitura, non due sistemate in un palco di proscenio, come si usa di frequente anche a Firenze e a Venezia.
Di pari altezza le voci. A 55 anni Ben Heppner (Sigfrido) non ha perduto nulla né del suo timbro chiaro e trasparente, né della sua musicalità: ha un fraseggio superbo e un legato struggente. Come dell’opera eponima, il suo Sigfrido è un ragazzo ingegno. Di una provincia rurale del Canada, capitato in mondo ormai macero. Mikhail Petrenko è un Hagen cupo e profondo, un misto di malvagità e destrezza. Gerd Grochowski è un Gunter in piena forma; a Palazzo sniffa con sua sorella Gutrune (Emma Vetter), una giovane promessa da non perdere d’occhio. Anne Sophie Von Hotter una Waltraute di grande presenza scenica e vocale. Katerina Dalayman è Brunilde: trova il giusto equilibrio tra l’orgoglio superbo (quasi alterigia) della valchiria (che fu) e l’umanità della donna tradita ma ancora innamorata e che sa immolarsi per se e per gli altri. Ha una voce imponente. Le Norme (Maria Radner, Lilli Paasikivi, Mirando Kyes) non sono le solite vecchie avvizzite, ma donne di tre età: una giovane che interpreta anche una figlia del Reno, una di mezza età e una verso l’invecchiamento. Seducenti le figlie del Reno (Eva Vogel e Anna Siminska, oltre a Maria Radner). Chi perde questo Götterdämmerung” a Aix, prenoti già da ora il Festival di Pasqua a Salisburgo.
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