Dopo una lunga fase in cui di Mezzogiorno si è parlato poco e raramente, il Sud e le Isole ritornano al centro dell’attenzione della politica economica. Il quadro tracciato dall’ultimo rapporto Svimez è decisamente inquietante. Ben 700mila persone, fra il 1997 e il 2008, hanno lasciato il proprio paesino natale nel Sud per raggiungere e città più ricche del Nord Italia. Solo nel 2008 il Sud avrebbe perso 122mila residenti, perlopiù fuggiti da Sicilia, Campania e Puglia, a fronte di un rientro di circa 60mila persone. In vistosa crescita le partenze dei laureati "eccellenti": nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%. La mobilità geografica Sud-Nord – sottolinea il rapporto – permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-nord vanno infatti incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. La “fuga di cervelli” però ha conseguenze negative di lungo periodo.«Caso unico in Europa – sottolinea il rapporto – l'Italia continua a presentarsi come un paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni». Alla base di questo esodo vi sono le difficili condizioni del mercato del lavoro, sia per il numero esiguo dei posti di lavoro rispetto agli occupati, sia per la carenza di figure di livello medio-alto. Nel 2008, sono stati infatti 173 mila gli occupati residenti a Sud con un posto di lavoro al Centro-nord o all'estero. Sono 23 mila in più del 2007 (+15,3%). "Cittadini a termine" come li chiama il rapporto Svimez, che rientrano a casa per il week-end, nella migliore delle ipotesi, o un paio di volte al mese. Sono giovani e con un livello di istruzione medio-alta. Spesso sono maschi, single, dipendenti full-time in una fase transitoria della loro vita, come l'ingresso o l'assestamento nel mercato del lavoro.A partire dalla fine degli anni Novanta, l’Italia ha mediamente riportato una crescita inferiore a quella degli altri paesi europei, specie per quanto riguarda la produzione industriale, un deficit di competitività, con riferimento sia alla dinamica delle esportazioni sia agli investimenti diretti dall’estero, uno sviluppo apprezzabile dell’occupazione, ma una stagnazione della produttività. Sino al 2002, il Mezzogiorno si è mosso in parziale controtendenza. Ha riportato una crescita del prodotto e della produttività superiori a quelle del Centro-nord, e un miglioramento dell’occupazione. Inoltre, la tendenza alla maggiore crescita del Sud e delle Isole non è dovuta all’operatore pubblico, il cui “contributo di domanda” alla crescita complessiva (tramite i consumi delle amministrazioni e le spese per opere pubbliche) è stato anzi inferiore rispetto al Centro-nord, ma. a due determinanti virtuose e nuove per l’area: una minore crescita delle importazioni nette e una maggiore crescita degli investimenti in macchine e attrezzature .Non si è ancora verificata una svolta: anzi, la crescita del Mezzogiorno resta al di sotto della media europea, che era stata posta come obiettivo per la programmazione anche dei fondi comunitari per il 2000-2006. Tuttavia, si colgono anche segni di muova vivacità: dodici Amministrazioni centrali dello Stato hanno messo a punto un “documento strategico preliminare nazionale” e definito, dopo una serie di consultazioni ed audizioni, il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 da utilizzarsi anche ai fine della programmazione dei fondi strutturali comunitari. Il documento segue la logica del “valutare per decidere” caratteristica della nuova programmazione degli investimenti pubblici. Parte da una diagnosi delle tendenze dell’economia italiana e della stagnazione di produttività che la caratterizza, nonché da una valutazione degli scenari per il prossimo decennio. Vengono, quindi, valutati i profili finanziario e reale ella programmazione dei fondi comunitari e nazionali per i ritardi di sviluppo nel periodo 2000-2006, giustapponendo gli obiettivi inizialmente fissati ai risultati, individuando i punti di forza e le criticità, e ricavando le lezioni per il futuro.La diagnosi identifica le determinanti della prolungata stagnazione sociale e di produttività del paese nella scarsa innovazione imprenditoriale, nel livello mediamente inadeguato di competenze sia della popolazione adulta sia dei giovani, nelle insufficienze del mercato dei capitali, nella permanente difficoltà dello Stato nell’offrire e promuovere servizi collettivi e nel garantire condizioni generali di concorrenza. Queste determinanti assumono particolare rilievo nel Mezzogiorno. Ad esempio, il problema del deficit di competenze assume nel Sud e nelle Isole un peso particolare. Più basso è il livello di istruzione media degli occupati, più elevata è la dispersione scolastica nella scuola secondaria superiore e, soprattutto, assai più modesto risulta il livello medio di competenza. In particolare, per le competenze matematiche, la performance dei quindicenni del Mezzogiorno è fortemente inferiore a quella delle altre aree del paese e della media Ocse, per ogni ordine di scuola, indipendentemente dalle condizioni economico-sociali delle famiglie di provenienza. Più forte è nel Mezzogiorno, rispetto al resto del paese, anche l’inefficienza del mercato dei capitali. Il grado di intensità creditizia è particolarmente basso e più debole la relazione banca- impresa, nonostante alcuni recenti segnali di miglioramento, superiore il costo degli impieghi (a parità di ogni altra condizione). Particolarmente più grave è la qualità dei servizi collettivi: circa 8 per cento è la quota di rifiuti oggetto di raccolta differenziata, contro circa 28 nel Centro-nord; doppio rispetto al Centro-nord è il numero medio di interruzioni accidentali lunghe per utente dell’elettricità; largamente superiore è la percentuale di famiglie che denunziano irregolarità nel servizio idrico; superiori i tempi della giustizia; minori le garanzie di legalità e sicurezza; e così via.Valutati gli esiti della politica regionale e degli interventi nel 2000-2006, il documento individua tre linee di continuità: mirare la politica regionale, comunitaria e nazionale, nell’intero paese a obiettivi di produttività, competitività e innovazione, accompagnati da una forte attenzione all’inclusione sociale; perseguire tali obiettivi, producendo e promuovendo servizi collettivi che innalzino la qualità della vita, del lavoro, del fare impresa; destinare al Sud e alle Isole una quota dell’intervento generale, simile a quella del precedente ciclo di programmazione. Il documento propone, però, anche due linee di discontinuità rispetto al passato: una più chiara definizione delle priorità e una maggiore centralità della qualità dei servizi (con accento, in particolare, sul sistema bancario).Il documento individua quattro priorità, relative all’intero paese, e due priorità centrali per il Mezzogiorno, ma di complemento e sostegno a un rilancio della politica nazionale. Le priorità nazionali sono in sintonia con quelle del Piano per l’innovazione, la crescita e l’occupazione (Pico): la promozione della ricerca e dell’innovazione; un forte intervento sul capitale umano; un sostegno all’ambiente considerato come requisito per lo sviluppo sostenibile di lungo periodo; la modernizzazione dei mercati e della pubblica amministrazione. Si è, quindi, sul solco delle strategie di Lisbona e di Goteborg definite dai Consigli europei per rilanciare lo sviluppo del continente.Le priorità considerate “indispensabili” per il Mezzogiorno sono la sicurezza e l’inclusione sociale e le reti infrastrutturali e logistiche. Nel documento, l’inclusione sociale è priorità della politica nazionale specie nel Mezzogiorno, dove essa presenta ancora così elevate criticità (anche quando, anziché con la “povertà monetaria”, la si misuri con l’accesso ai servizi essenziali) e dove così alta è l’occupazione sommersa: alla riduzione dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, alla promozione delle parità di trattamento, possono concorrere in modo determinante le quattro priorità indicate in precedenza, se esse sono realizzate avendo ben presente l’obiettivo dell’inclusione, ma è indispensabile un’azione nazionale di raccordo su cui la politica regionale deve potersi poggiare. Ciò è ancora più evidente nel caso della sicurezza. Nelle quattro regioni del Mezzogiorno dove la criminalità organizzata ha un ruolo diffuso e profondo e inquina, anche quando non attivamente presente, parte rilevante dell’azione pubblica, una più forte azione di politica nazionale per la sicurezza è condizione di buon governo. Anche il completamento delle reti e dei nodi logistici, in coerenza con la vocazione ambientale e turistica del Mezzogiorno (più ferrovie, più mare, più trasporto aereo) e con l’opportunità di un suo collegamento con alcune grandi direttrici mediterranee e balcaniche, è, secondo il documento, condizione necessaria del decollo del Sud e delle Isole. Si tratta di una condizione che può essere soddisfatta solo se si affermerà una programmazione nazionale, concertata fra Centro e Regioni, che stabilisca priorità,tempi credibili, sistemi di monitoraggio, esplicitazione delle connettività territoriali degli interventi. Se queste condizioni saranno soddisfatte, afferma il documento, la politica regionale potrà opportunamente aggiungere i propri finanziamenti alle azioni della politica nazionale. Un ritorno al passato, ossia alla “programmazione indicativa” degli anni Sessanta? Non proprio, perché l’accento è su una strategia unitaria tra Stato e Regioni per far funzionare meglio il mercato – quindi sulle liberalizzazioni.
Purtroppo alle promesse del Documento non hanno fatto seguito adeguati programmi operativi basati su progetti concreti. Questo nodo centrale dello sviluppo del Mezzogiorno può essere risolto con il Partito del Sud , o con qualche simile soggetto politico, di cui si è parlato nelle ultime settimane? No, non verrebbe sciolto ma aggravato, poiché il punto centrale consiste nel portate le migliori prassi e i migliori comportamenti “europei” nel Mezzogiorno; creare separatismi più o meno sottintesi non farebbe che aggravare questo processo di europeizzazione del Mezzogiorno, e del resto d’Italia – la sola strada per lo sviluppo di lungo periodo.
21 luglio 2009
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