La riunione dei Ministri dell’Economia del G7/G8, in programma il 12-13 giugno a Lecce - la seconda in questo anno di Presidenza italiana del G7-G8 dedicata ai temi dell’economia e della finanza - è particolarmente importante. Precede infatti di poche ore l’incontro di Silvio Berlusconi (nella veste di Presidente del G7-G8) con il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e di tre settimane la riunione dei Capi di Stato e di Governo del G8 (L’Aquila 8-10 luglio) che sarà in grande misura dedicata alla crisi economica.
I ministri cercheranno, in primo luogo, di fare il punto sul quadro congiunturale: le previsioni più recenti (diramate il 6 giugno) dei 20 maggiori istituti internazionali specializzati in analisi econometriche (tutti privati, nessuno italiano) mostrano che il percorso per uscire dalla crisi sarà più lento sia in Europa continentale (per il 2010 si prevede un aumento del Pil appena dello 0,5%) che negli Usa (un aumento complessivo del Pil dell’1,6% nel 2010 con la svolta in primavera) e in Asia (lo stesso “grande malato d’Oriente”, il Giappone, avrebbe una crescita del Pil dello 0,8%, maggiore, dunque, di quella dell’area dell’euro).
Le cause di questa lenta ripresa sono da individuare da un lato nella debole reattività dell’Europa continentale all’evoluzione dei mercati mondiali; dall’altro nei ritardi europei nell’affrontare le riforme interne. I temi sul tappeto sono dunque molti, poiché riguardano la ristrutturazione dei sistemi di produzione. Sarebbe perciò un errore attendersi dal G7-G8 molto di più di un appello rivolto a respingere i protezionismi. Nella speranza che non resti sulla carta.
Nell’incontro dei ministri economici si parlerà di “sforzo comune” per la ripresa, con un occhio rivolto all’Europa, che molti ritengono non faccia abbastanza in termini di politica di bilancio e di politica monetaria. Da un lato, l’Ue è alla prese con i vincoli del “Patto di stabilità” (già peraltro interpretati in maniera piuttosto flessibile). Dall’altro la Bce (e i governi nazionali) non hanno fatto mancare liquidità al sistema grazie a interventi come i cosiddetti “Tremonti bonds”, come documentato dal recente working paper 08/210 del Fondo Monetario Internazionale, oltre che dai bollettini mensili Bce.
I ministri esamineranno anche le prime proposte di “global standard”, ovvero “il codice delle nuove norme che dovranno regolare la vita finanziaria ed economica del futuro”, come l’ha definito il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. È una proposta a cui tengono molto Italia e Francia, che hanno ora convinto anche la Germania. Il quadro è quanto mai complesso: l’Italia ha tanto messo l’accento sul “global standard” che, se dall’incontro dell’Aquila del G8 si esce con un pugno di mosche, per la Presidenza italiana sarebbe uno smacco. L’idea di “global standard” non piace all’Asia (protagonista, non comprimaria, del G20 in calendario in settembre a Pittsburg) e molti Stati dell’Asean lo hanno reso noto tramite vari canali.
L’amministrazione americana avrebbe guardato con favore ai “global standard”, se non altro perché la proposta italiana, e ora europea, avrebbe levato più di un castagna dal fuoco a Obama. Ma la crescente attenzione di Washington nei confronti dell’Asia la rende riluttante a scendere in campo a favore della proposta Ue. Anche perché gli Usa lavorano ad una proposta alternativa: direttive settoriali di corporate governance per tipologie di imprese e banche. Ciò traspare da un saggio di Luigi Zingales, dell’Università di Chicago appena uscito su Journal of Accounting Research e da un lavoro di due giuristi, Luciana Bebchuk e Assaf Hamdami in uscita sulla University of Pennsylvania Law Review e da altre indicazioni. La strada è, quindi, tutta in salita.
C’è, però, un aspetto positivo che potrebbe facilitare le cose anche in materia di “global standard”. Il miglioramento del tasso di risparmio delle famiglie americane: rasoterra, attorno al 2% del reddito disponibile nel primo lustro di questo secolo (rispetto al 12% circa dell’Italia), negativo dal 2005 all’esplosione della crisi, ha toccato il 5,7% lo scorso aprile (il livello più alto degli ultimi 14 anni). Se la tendenza continua si potrebbe tornare al livello record di 14,6% segnato nel maggio 1975 quando gli Usa stavano uscendo da una severa recessione. Un fenomeno analogo, ricordano gli storici dell’economia, si è avuto alla fine della Grande Depressione degli anni trenta. In ambedue le occasioni - la Grande Depressione e gli anni settanta - l’aumento del tasso di risparmio degli americani fu accompagnato da una maggiore selettività sia dei consumi sia degli investimenti, nonché della strumentazione per finanziare gli uni e gli altri. Un risparmio Usa tendenzialmente a livelli europei renderebbe più facile la soluzione degli squilibri finanziari mondiali e in questo contesto un ripensamento organico di istituzioni e regole internazionali.
Giuseppe Pennisi insegna economia internazionale e politica economica europea all'Università Europea di Roma ed all'Università di Malta.
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