Pochi si sono accorti che alla vigilia (quasi) delle elezioni europee – precisamente il 3 e il 4 giugno, l’Istituto di Studi e Analisi Economiche (Isae, l’ente di ricerca vigilato dal ministero dell’Economia e delle finanze) ha organizzato la consueta annuale conferenza internazionale ponendo l’accento sul progresso, e in particolare sul progresso sociale. La sessione inaugurale è stata presieduta da Anthony Atkinson, del Nuffield College di Oxford, uno degli economisti più autorevoli proprio in materia di distribuzione dei redditi e dei consumi. Atkinson tornava in Italia poche settimane dopo avere presieduto una conferenza sull’Europa del dopo-crisi organizzata a Montecitorio nel quadro delle iniziative culturali promosse dal presidente della Camera.
Potrebbe sembrare una battuta di cattivo gusto ricordare che all’inizio di giugno, mentre la sinistra di opposizione si occupa di veline, la destra di governo rifletteva sul progresso sociale ad un incontro internazionale i cui atti (tra breve sul sito Isae e tra qualche mese – speriamo – in un volume) sono rappresentati da papers analitici redatti in gran parte da giovani economiste di genere femminile. Più che le battute contano i contenuti, specialmente quelli che possono essere di indirizzo e guida alla politica nel “dopo crisi”.
Non è questa la sede per riassumere i numerosi documenti. È utile, tuttavia, soffermarsi su quelli che riguardano le disuguaglianze non di reddito o di consumi, ma di opportunità, e su come ridurle. La differenza profonda (un vero e proprio baratro abissale) tra la destra di governo e gran parte della sinistra d’opposizione è proprio nella centralità che viene data alle opportunità, alla necessità di partire il più alla pari possibile (in termini di opportunità), affidando spazio ai corpi intermedi (in primo luogo la famiglia) per far sì che i singoli soggetti economici (individui, imprese), sappiano coglierle. Ciò non vuole dire trascurare i “poveri tra i poveri”; l’accento sulla riduzione delle disuguaglianze di opportunità permette di incanalare l’assistenza verso chi più ne ha bisogno e la merita.
Un’analisi comparata di 17 paesi europei (utilizzando dati omogenei e un metodo statistico innovativo) dimostra che l’Italia si pone in posizione mediana (nel contesto europeo) in termini di disuguaglianza di opportunità. Conferma anche che la determinante principale (in tutta Europa) della disuguaglianza di opportunità non è tanto il livello di reddito quanto il livello d’istruzione dei genitori; ciò penalizza, per così dire, l’Italia a ragione di come per decenni si è trascurata l’istruzione in termini sia quantitativi che qualitativi: una certa generazione sessantottina ha dato ai propri figli una società più diseguale in termini di opportunità. Questo deve essere uno dei temi centrali del dibattito intellettuale e politico. Anche se l’analisi non è longitudinale, ossia è una fotografia di un determinato momento (il 2005, anno più recente per il quale si dispone di dati omogenei), ci sono segnali di cambiamento (ossia miglioramento) in tre dei diciassette paesi; uno è l’Italia – gli altri due sono l’Austria e la Polonia.
Altro punto importante è che in tutta Europa le rigidità del mercato del lavoro sono elemento di disuguaglianza di opportunità: tracciano una muraglia netta tra chi è dentro (con contratti a tempo pieno e indeterminato) e chi è fuori (nella selva selvaggia del precariato mascherato in una cinquantina di fattispecie contrattuali). Ne deriva un’indicazione che dovrebbe essere bipartisan, anche perché pure esponenti di rilievo della sinistra d’opposizione (Enrico Letta, Pietro Ichino, Tiziano Treu) si muovono da mesi in questo senso: superare il caleidoscopio normativo della legge Biagi – ponte importante, quando venne concepita e varata, per progredire verso un mercato del lavoro più flessibile ma ormai da adattarsi a quelle che sono le esigenze di una maggiore eguaglianza di opportunità. Questi due punti sono centrali in una società più uguale e con maggiori opportunità per tutti. Anche più importanti degli argomenti sulla redistribuzione tributaria.
9 giugno 2009
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