Dopo 45 anni di servizio, sono finito come Kim Novak e James Stewart ne “La donna che visse due volte” di Hitchcock. Mi era stato detto che la “messa in pensione” dall’Inpdap assomigliava al “The Rocky Horror Show”: ad un collega si sono smarriti otto anni di contributi di quando era “ordinario” a Bologna, ad un altro cinque a Napoli; vicende strappacuore legate alle reversibilità; tempi biblici per la documentazione per le dichiarazioni dei redditi; prestiti le cui rate non vengono detratte dai compensi; “assegni provvisori” quasi per tutti in attesa che (dopo lustri) si definiscano le pratiche. Avevo avuto un assaggio nel 1990: trasferitomi, nell’autunno 1988, dal Bilancio al Lavoro, il telegramma di routine in cui si affermava che ero “decaduto” a via XX Settembre venne letto, all’Enpas (padre dell’Inpdap) “deceduto”; due anni più tardi, venne versato un assegno di liquidazione a mia moglie (che non sapeva di essere vedova). Scoperto l’errore, ce ne vollero di belle e di buone per restituire la somma (ed ottenere ricevuta); il Ministro del Lavoro dell’epoca (Donat-Cattin) fece “decedere” (figurativamente) alcuni alti dirigenti destinandoli a compiti più consoni.
Mi sono fatto segnalare da un amico influente all’Inpdap. Ho seguito di persona “la pratica”. Non si trovavano le carte relative alla resurrezione dopo il “decesso” . Riconsegnate sia dalla mia Amministrazione di appartenenza sia da me stesso, tutto filò liscio sino alla liquidazione. In una prima simulazione, sparivano circa dieci anni (“il decesso”). In una seconda, tutto pareva in regola. In una terza, assodata l’esistenza in vita, il “decesso” veniva trattato come un prestito su cui caricare circa 20 anni d’interessi; venivano aggiunti 8 anni di riscatto di studi (sic!). Devo riconoscere che il dirigente (tra l’altro un mio ex-allievo) si è adoperato per cercare di risolvere il problema in due settimane (in pensione dal 31 gennaio non ho ancora un calcolo dettagliato della liquidazione).
Nel corso di questo “thrilles”, ho appreso che a) il sistema informatico non è allineato con la documentazione cartacea; b) errori simili “200.000 volte” (non è chiaro se ogni anno o per i 4 milioni di pensionati); c) ciò è considerato fisiologico perché “se si lavora si sbaglia”. Se questo capita a me – noto nel mondo della previdenza (sul tema ho pubblicato libri in Italia, Usa, Francia, Regno Unito e Germania) e per di più “segnalato”- cosa avviene a gran parte dei servitori dello Stato?
Il Presidente-Commissario dovrebbe trarne le conseguenze. Non dovrebbe “decedere” facendo hara-hiri, ma far decedere l’ufficio “decessi” (forse una trovata per ridurre la spesa), portare a 20 i 200.000 errori , rivolgersi all’amico Ministro Renato Brunetta (non amato, pare, da molti inpdapini ma amato da tantissimi italiani) per allineare sistema informatico con sistema informatico. E nel contempo assicurare risposte al telefono. Auspicabilmente, esaurienti.
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