Le misure approvate dal Governo il 26 giugno sono un contributo positivo alla “exit strategy” dalla recessione dell’economia reale (l’Italia è stata appena sfiorata dalla crisi che ha travolto i mercati finanziari di metà del mondo). Non rappresentano, però, il colpo d’ala necessario per infondere fiducia a famiglie ed imprese, ridurre i costi di transazione e l’avversione al rischio e rimettersi su un sentiero di crescita (2,5% l’anno) ipotizzabile per un’economia matura con una demografia a rapido invecchiamento. Prime stime econometriche suggeriscono che nel loro insieme, potranno dare, nei prossimi 12 mesi, un aumento del tasso di crescita da un terzo alla metà di un punto percentuale e contribuire a far passare da negativo a positivo l’andamento del pil. In effetti, da un decreto di metà anno a ridosso di consultazioni elettorali, è difficile aspettarsi di più.
Il colpo d’ala è, però, fattibile in parallelo con la legge finanziaria. Si può farlo con tre mosse simultanee e parallele, tenendo presente che, al pari degli altri Paesi dell’area dell’euro, le autorità italiane non possono che influire su una delle tre leve tradizionali della politica economica – quella della moneta- ed hanno limiti severi in merito alla seconda – quella del bilancio.
La prima mossa riguarda proprio il bilancio pubblico. E’ una misura tecnica che, pare, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) avrebbe voluto inserire nel decreto di mezza estate, ma depennata su insistenza degli enti di spesa: concentrare in una tesoreria unica le risorse del conto economico consolidato della amministrazioni pubbliche (incluse SpA di cui lo Stato è azionista totalitaria). Non solo ciò porrebbe fine alla piaga dei resti di cassa non spesi, dei tesoretti più o meno occultati in contabilità speciali e altri aspetti di contabilità creativa, ma consentirebbe di concentrare le risorse su due obiettivi: crescita e solidarietà sociale. Di converso, Mef e Governo tutto si dovrebbero impegnare a fare sì che la finanziaria sia davvero “triennale” e che le amministrazioni possano avere certezze in una prospettiva triennale. Tale incertezza è spesso all’origine della contabilità creativa.
La secondo e la terza mossa dovrebbero riguardare quella politica dei prezzi e dei redditi (un tempo chiamata “concertazione”) entrata in disuso ma quanto mai necessaria per la “exit strategy” e per la crescita sostenibile. Ciò vuol dire definire (auspicabilmente con le parti sociali) un programma di liberalizzazioni che avvantaggi tutti (soprattutto i consumatori, ossia le famiglie) e di accelerazione di riforme (previdenza, energia) già definite ma per le quali sono stati previsti periodi di transizione eccessivamente lunghi. Non solamente ci sarebbe un forte impatto psicologico – l’indicazione che l’Italia, concorde, vuole rimettersi a correre più degli altri –ma le sole liberalizzazioni darebbero un colpo d’acceleratore al pil (valutato attorno a un punto e mezzo l’anno nei prossimi tre anni.
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