Secondo come viene guardato, dopo il G7/G8 finanziario tenuto il 12-13 giugno a Lecce, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto – in termini di “global standard” (il nuovo assetto di regole e prassi per la finanza internazionale che dovrebbero sia facilitare l’uscita dalla crisi sia evitare il ripetersi di una ad essa analoga). Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti ha ragione a parlare di “successo” al di sopra delle aspettative; non solamente al G20 di Londra numerosi partecipanti avevano mostrato un atteggiamento gelido di fronte alla proposta ma nelle ultime settimane le cancellerie di molti Paesi asiatici (non certo comprimari nella trattativa) si sono mosse per fare sapere ai protagonisti del G8 in programma a L’Aquila tra poche settimane la loro opposizione in modo di evitare che nel capoluogo dell’Abruzzo i Capi di Stati e di Governo prendessero posizioni che verrebbero cassate in settembre al G20 in programma a Pittsburgh. Ora l’obiettivo non è più quello di giungere a “standard” (regole) condivise ma ad un “framework” (“quadro regolatorio”) anch’esso condiviso: a Lecce i Ministri hanno approvato un documento (di una settantina di pagine) da trasmettere a L’Aquila.
Due sono gli aspetti fondanti – uno strettamente politico ed uno principalmente tecnico. Il primo riguarda l’incontro di oggi, 15 giugno, alla Casa Bianca tra Obama e Berlusconi: il cerino acceso è nelle dita del Presidente del Consiglio italiano, nella veste di Presidente del G8 per il 2009. Washington ha, in un primo momento, guardato con favore ai “global standard”, se non altro perché la proposta italiana, e ora europea, avrebbe levato più di un castagna dal fuoco a Obama. Ma la crescente attenzione Usa nei confronti dell’Asia la rende riluttante a scendere in campo a favore della proposta Ue. Anche perché negli Usa si lavora ad una proposta alternativa: direttive settoriali di corporate governance per tipologie di imprese e banche. Ciò traspare da un saggio di Luigi Zingales, dell’Università di Chicago appena uscito su Journal of Accounting Research e da un lavoro di due giuristi, Luciana Bebchuk e Assaf Hamdami in uscita sulla University of Pennsylvania Law Review e da altre indicazioni. La proposta alternativa si inserirebbe nei “Lecce Framework” (LF nuova sigla entrata la sera del 13 giugno nella galassia delle abbreviazioni mondiali) a puntino e potrebbe essere un punto essenziale di mediazione con l’Asia. Sta a Berlusconi convincere Obama che i mediatori potrebbero essere proprio loro due.
Sotto il profilo tecnico, è difficile esprimere un giudizio ancorché preliminare su un LF che si sa essere di oltre 70 pagine ma di cui non sono stati divulgati i contenuti. Tuttavia, 70 pagine sembrano troppe per dare vita ad un framework al tempo stesso efficiente ed efficace (non una sovrastruttura che si accavalli su quelle nazionali e regionali- ad esempio delle dell’Ue, dell’Asean, del Nafta) e dotata di una forte “capacità adattiva”, ossia della capacità di adattarsi ai cambiamenti del mondo circostante. In questi 70 anni se ne è avuta una prova raffrontando la “capacità adattiva” del Gruppo della Banca mondiale (basato su scarni “articles of agreement”) e le rigidità di un Fondo monetario internazionale (costruito su statuti barocchi diventati rococò con il passare dei lustri e tali da avviluppare l’istituzione sino a paralizzarla): due libri recenti, nella eccellente collana Routledge Global Institutions) lo mostrano con chiarezza e con ampia documentazione –“The International Monetary Fund” di James Raymond Vreeland e “The World Bank” di Katherine Marshall. Giulio Tremonti dovrebbe inforcare gli occhiali severi del professore nel rileggere la settantina di pagine.
C’è un dato positivo che potrebbe facilitare il negoziato sul LF. Il miglioramento del tasso di risparmio delle famiglie americane: rasoterra, attorno al 2% del reddito disponibile nel primo lustro di questo secolo (rispetto al 12% circa dell’Italia), negativo dal 2005 all’esplosione della crisi, ha toccato il 5,7% lo scorso aprile (il livello più alto degli ultimi 14 anni). Se la tendenza continua si potrebbe tornare al livello record di 14,6% segnato nel maggio 1975 quando gli Usa stavano uscendo da una severa recessione. Un fenomeno analogo, ricordano gli storici dell’economia, si è avuto alla fine della Grande Depressione degli anni trenta. In ambedue le occasioni - la Grande Depressione e gli anni settanta - l’aumento del tasso di risparmio degli americani fu accompagnato da una maggiore selettività sia dei consumi sia degli investimenti, nonché della strumentazione per finanziare gli uni e gli altri. Un risparmio Usa tendenzialmente a livelli europei renderebbe più facile la soluzione degli squilibri finanziari mondiali e in questo contesto un ripensamento organico di istituzioni e regole internazionali. E’ un punto su cui Berlusconi può utilizzare come leva sia alla Casa Bianca sia a L’Aquila.
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