“Le Gran Macabre”, suggerito “solo per adulti” dai manifesti del Teatro dell’Opera di Roma, è, a mio avviso, uno spettacolo per educande non solamente se raffrontato con le regie di Calisto Bieito alla Komische di Berlino (ed un po’ per tutta Europa) ma soprattutto se si tiene conto di ciò che si vedeva nei teatrini della Venezia del Seicento. Allora, la Serenissima era sotto il manto plumbeo dell’Inquisizione, ospitava 700 luoghi di culto, pullulava non solo di monache e preti ma soprattutto di spie pronte a mandare alla tortura chi era sospettato di eresia e chi si comportava contro “il senso normale del pudore”.
A teatro – tutti privati e spesso con biglietti i cui prezzi erano alle stelle – si poteva toccare con mano cosa fosse, al di là dei proclami ufficiali, tale “senso normale del pudore” una volta che si era dietro le pareti di Palazzi sul Canal Grande in comodi saloni con letti o divani a più piazze. L’opera veneziana seicentesca è sparita per secoli dai palcoscenici oppure è stata “ripresa” in edizioni adattate al gusto dell’Ottocento o di gran parte del Novecento. Soltanto dal 1970 (o giù di lì) si è potuta vedere in edizioni critiche integrali ma da fare arrossire che i ragazzi di Woodstock. In quegli anni, una monteverdiana ’”Incoronazione di Poppea”, a Washington, aveva come unico elemento scenico uno spropositato letto rotondo, Carol Neblett (Poppea) era in “see- through” e Alan Titus (Nerone) in “cache sexe”; soprattutto, veniva messo a luce il significato che l’ottantenne canonico di San Marco (Claudio Monteverdi) dava all’opera – la scalata al potere utilizzando il sesso (probabilmente ciò avveniva non solo a Palazzo Ducale ma pure in Basilica, sotto gli occhi tolleranti dell’Inquisizione che, nei confronti dei potenti, interpretava una normativa applicata con rigorore nei riguardi dei comuni mortali).
Quanto fosse lussurioso il teatro in musica veneziano lo mostra un’edizione , celeberrima,del 1993 di “La Calisto” di Francesco.Cavalli, che con la regia di Herbert Wernicke e la direzione musicale di René Jacobs per “La Monnaie” di Bruxelles.ha fatto il giro del mondo e si è rivista nella capitale belga poche settimane fa. In apparenza, un racconto mitologico: in sostanza un’esaltazione del sesso nelle sue più variegate posizioni (e come strumento per la politica). Alcuni anni fa, a Napoli venne mostrata “La Statira” sempre di Cavalli ma la regia di Paul Curan era pudibonda e cozzava con il fragore di sesso esplicito della partitura.
Il teatro in musica napoletano del Seicento e del Settecento- o peraltro quello di altri Paesi – non ebbe mai il carattere erotico analogo a quello veneziano: da un lato, veniva commissionato da teatri di corte (sotto gli occhi di vigili censori), da un altro non si poneva come protesta politica (non solo sessuale) nei confronti di un perbenismo ufficiale repressivo. Curiosamente, nel teatro in musica italiano, si deve arrivare all’inizio dell’Ottocento , ad un lavoro scritto per la Francia governata dal reazionario Carlo X, per gustare un’opera erotica: “Le Conte Ory” di Gioacchino Rossini , questo agosto in programma a Pesaro. L’eros sparì con il melodramma verdiano per riapparire con la pucciniana “Manon Lescaut” alla fine dell’Ottocento. Niente di simile, però, delle opere “a luci rosse” che furoreggiavano in Francia e Germania; si pensi che al finale di “Sigfrido” - un orgasmo di 40 minuti- al primo atto del “Crepuscolo degli Dei” dove si consuma un vero e proprio “scambio di mogli” tra adulti (in parte consenzienti): Per non parlare di “Die Gezechneten” di Franz Schreker (“I Bollati”, in traduzione letterale, ma “Gioventù Bruciata” sarebbe un titolo più appropriato): un’enorme orgia tra ragazzi e ragazze (ovviamente nudi) della Genova-bene . L’anno prossimo pare in programma a Palermo.
Veniamo ora a “Le Grand Macabre” (che ho già visto a Bologna negli Anni Settanta, ed a Ferrara e Ravenna più di recente e che si può gustare in una magnifica edizione concertata da Esa-Pekka Salonen ). Un asteroide sta per sterminare il genere umano, il quale, saputo di dover morire, si dà a sesso sfrenato (un po’ come in “Mahagonny” di Bertold Brecht e Kurt Weill) .Anche la Morte viene irretita dal gioco . Quindi, non uccide nessuno; brunettianamente parlando, diventa una fannullona. E l’umanità continua. La scrittura musicale è modernissimo (György Ligeti inizia con un’overture per clacson e continua con una partitura per grande organico e live electronics con citazioni di Mozart, Donizetti e Stravinskij). Tutto sommato un lavoro, al tempo stesso, ironico ed edificante che nell’allestimento de La Fura del Bauls mostra qualche bambolona nuda e si rifà alla pittura di Bruguel e Memlin. Non abbiate timore. “Le Conte Ory” con il suo “ménage à trois” finale , con schiaffone al conte quando palpa le natiche del paggio è molto più insidioso.
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