venerdì 14 dicembre 2007

UN CARTELLONE NAZIONALE PER LA LIRICA

Ci sono stati vari utili interventi e provocazioni nel dibattito sul finanziamento dei teatri lirici, aperto da Il Tempo, con l’anticipazione della notizia in base alla qale la proposta della Scala di essere dichiarata “Teatro Nazionale” e di fruire di finanziamenti speciali avrebbe “scippato” fondi a Roma ed ad altre fondazioni lirico-sinfoniche.
In primo luogo, Stéphane Lissner (Sovrintendente della Scala) ben sa che i “Teatri Nazionali” (quali l’Opéra di Parigi,la Royal Opera House di Londra, il Real di Madrid) esistono unicamente in Stati centralizzati il cui processo di unità nazionale è avvenuto nel XV-XVI secolo. Nel resto d’Europa, e del mondo, i Teatri sono “Regi”, “Ducali”(quale era la Scala sino al XVIII secolo) e rispecchiavano le unità politico-amministrative, e culturali, da cui sono emersi gli Stati Nazionali nel XIX Secolo. Neanche nella Germania del centralizzatissimo Terzo Reich, la Staatsoper-under-den-Linden di Berlino (pur Teatro Imperiale della Prussia) ha mai avuto, o preteso, una preminenza nei confronti dei Teatri di Monaco, Amburgo, Stoccarda, Dresda e via discorrendo. Ciò non è unicamente frutto di percorsi storici differenti ma anche espressione di una ricchezza culturale a cui l’Italia farebbe male a rinunciare.
In secondo luogo, Carlo Lottieri ha senza dubbio contezza che il teatro lirico “commerciale” è esistito in periodi molto brevi (nel Regno Unito e nella Venezia del XVII secolo, nell’Italia del XIX secolo). Lo stesso privatissimo Teatro Helikon di Mosca riceve sussidi generosi da una vasta gamma di sponsor e contributi dalla municipalità della città. Le “legge di Baumol” (mai confutata) dimostra perché in un mondo a forte progresso tecnologico, le arti dal vivo (e specialmente l’opera lirica) sarebbero, senza intervento pubblico, destinate a perdere competitività e perire. Per l’Italia sarebbe un danno non solo culturale ma anche economico perché – pochi lo sanno – “esportiamo opera”, specialmente alla volta dell’Oriente. E’ un fenomeno che riguarda non solo i teatri più noti ma anche quelli più piccoli “di tradizione” e su base provinciale od anche comunale.
In terzo luogo, gli alti costi delle arti dal vivo (e soprattutto dell’opera) possono essere contenuti basandosi sul binomio cooperazione-competizione; lo devono comprendere non soltanto Sovrintendenti che ambiscono a trasformare in festival qualsiasi “stagione” ma anche le numerosissime sigle sindacali i cui iscritti (artisti e tecnici) sarebbero i primi a soffrire da una chiusura dei teatri inevitabile se non si coopera e non si compete.
Cooperare vuol dire andare verso un “cartellone nazionale” con scambi programmati di produzioni tra le fondazioni e nei circuiti secondo una logica pluriennale: utilizzando nuove tecnologie per gli allestimenti e scritture “lunghe” per gli artisti si possono ridurre i costi in misura significativa. Competere vuol dire che chi ha le produzioni migliori (meritevoli di fare parte del “cartellone nazionale”) avrà anche le sovvenzioni più alte. Vincerebbero e il mercato e la cultura.

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